L’arrivo dei cardinale Borromeo
L’innominato viene a sapere da un suo uomo che il giorno prima l’arcivescovo di Milano, Federigo Borromeo, è arrivato in visita nel paese vicino, per cui le persone si recano in quel luogo nella speranza di riuscire riuscire a vederlo.
Il bandito rimane colpito dalla gioia della gente in festa, e decide su due piedi di andare dall’arcivescovo, sperando di essere liberato dal suo tormento.
Prima di uscire passa nella stanza dove è rinchiusa Lucia, e quando la vecchia serva apre la porta, vede che la giovane prigioniera dorme rannicchiata per terra. Rimprovera aspramente la servitrice per averla lasciata in quella condizione, ma le ordina di lasciarla dormire, e quando si sveglia, di riferirle che lui è uscito, ma tornerà presto e farà tutto quello che la giovane desidera.
Dopo esce dal castello e si avvia velocemente verso il paese. Diversi bravi lo incontrano e si aspetta che chieda loro di seguirlo, ma invece lui tira dritto, lasciando i suoi uomini pieni di stupore. Quando poi arriva sulla strada pubblica, coloro che lo incontrano rimangono di stucco a vederlo da solo, senza alcuna scorta, e gli cedono il passo con grandi gesti di grande riverenza. Quando entra in paese, trova una gran folla che si apre al suo passaggio e chiede indicazione per sapere dove trovare il cardinale, e gli viene indicata la casa del curato.
Alla fine, quando raggiunge la cas, chiede di parlare con il cardinale, e gli viene incontro il cappellano crocifero che, dopo qualche timida obiezione porta l’ambasciata al Borromeo.
Profilo del religioso
A questo punto l’autore interrompe la narrazione per una breve presentazione di un personaggio così importante.
Federigo Borromeo nasce nel 1564, da una famiglia aristocratica molto agiata. Fin dai primissimi anni si dedica agli insegnamenti della religione e subito inizia a pensare a come rendere la sua vita utile al prossimo[1].
Nel 1580 dichiara di voler diventare prete e riceve i voti dal cugino Carlo Borromeo, considerato da tutti una persona santa.
Decide di insegnare la dottrina cristiana ai più poveri e di assistere i malati e i bisognosi. Evita ogni agio e privilegio, conducendo uno stile di vita frugale[2], cosa che provoca la contrarietà dei parenti, che ritengono che tale comportamento svilisca la dignità della dinastia, mentre i suoi maestri tentano ogni tanto di fargli indossare qualcosa che lo distingua dagli altri allievi del collegio[3].
Quando Federigo ha vent’anni, viene a mancare suo cugino Carlo, che per lui è sempre stato un altissimo modello di comportamento. Ma nonostante la perdita di un insegnante così importante, Federigo sembra destinato ad una carriera ecclesiastica importante, anche se lui cerca di evitare incarichi di rilievo, perché spesso non si ritiene all’altezza. Nel 1595 papa Clemente VIII gli propone l’arcivescovado di Milano, che dapprima rifiuta, ma alla fine accetta.
Il suo impegno per la cultura
Una volta divenuto arcivescovo, Federigo evita ogni eccesso, limitandosi allo stretto necessario e vivendo in modo molto modesto. Fonda la biblioteca Ambrosiana, e invita alcuni uomini fra i più colti a reperire libri nei principali paesi d’Europa fino al Libano e Gerusalemme. Vengono raccolti circa trentamila volumi stampati e quattoricimila manoscritti, e unisce alla Biglioteca un collegio di dottori il cui compito è coltivare studi di teologia, storia, letteratura, lingue orientali e che devono regolarmente pubblicare lavori sulle loro attività.
Si dedica a numerose attività culturali, in un’epoca in cui la cosa non veniva vista di buon occhio, e per questo aveva molti detrattori che ritenevano che quei denari (tra l’altro in gran parte provenienti del suo patrimonio personale) potevano essere usati per altri scopi più utili.
L’amore per gli umili
Un altro aspetto saliente di Federigo è la sua propensione ad aiutare i poveri, e ritiene che l’elemosina da parte di chi ha i mezzi economici sia un dovere fondamentale. È sempre particolarmente cordiale verso coloro che appartengono alle classi più umili, e molto spesso questo suo atteggiamento suscita lagnanze fra coloro che lo circondano.
L’autore dichiara che è davvero impossibile elencare tutte le attività meritorie di Federigo, tuttavia ha abbracciato alcune convinzioni del suo secolo che oggi risultano false, e non si può scusarlo semplicemente dicendo che erano convinzioni comuni nel suo secolo. Però l’autore non si sofferma sulle opinione errate sostenuti dal cardinale e fa notare che ha lasciato un centinaio di opere che però non hanno lasciato traccia nella nostra cultura, e spiegarne i motivi sarebbe richiederebbe una risposta troppo lunga.
Alcuni estratti significativi del capitolo 22
[1] Persuaso che la vita non è già destinata ad essere un peso per molti, e una festa per alcuni, ma per tutti un impiego, del quale ognuno renderà conto, cominciò da fanciullo a pensare come potesse render la sua utile o santa.
[2] Volle una tavola piuttosto povera che frugale, usò un vestiario piuttosto povero che semplice; a conformità di questo, tutto il tenore della vita e il contegno.
[3] Un’altra guerra ebbe a sostenere con gl’istitutori, i quali, furtivamente e come per sorpresa, cercavano di mettergli davanti, addosso, intorno, qualche suppellettile più signorile, qualcosa che lo facesse distinguer dagli altri, e figurare come il principe del luogo: o credessero di farsi alla lunga ben volere con ciò; o fossero mossi da quella svisceratezza servile che s’invanisce e si ricrea nello splendore altrui; o fossero di que’ prudenti che s’adombrano delle virtù come de’ vizi, predicano sempre che la perfezione sta nel mezzo; e il mezzo lo fissan giusto in quel punto dov’essi sono arrivati, e ci stanno comodi.