Don Abbondio esita a celebrare il matrimonio
Lucia termina il periodo di quarantena, e, in compagnia della sua amica mercantessa, può finalmente tornare al paese, dove troverà sua madre e Renzo. Il giovane è entusiasta, mentre Lucia non si scompone e mantiene sempre una certa riservatezza, che Renzo ha imparato con il tempo a comprendere ed accettare. Apprende con grande dispiacere della morte di padre Cristoforo. Dopo i primi momenti di grande gioia, Renzo decide di andare subito da don Abbondio per chiedere nuovamente di celebrare il matrimonio.
Don Abbondio non dice di no, ma inizia a tentennare, dicendo che c'è ancora un mandato di cattura sulla testa del giovane, e può sposarsi da qualche altra parte. Renzo, scherzando, gli dice che forse ha ancora un po' del mal di testa dell'altra volta, e per toglierli la paura, gli racconta delle condizioni in cui ha trovato don Rodrigo nel lazzaretto. Ma il curato continua a tergiversare con discorsi inconcludenti, e Renzo, per non perdere la pazienza e compiere uno sproposito, con un gesto di riverenza si congeda.
Quando il giovane ritorna a casa di Lucia e riferisce della sua conversazione, la mercantessa, anche per la curiosità di conoscere don Abbondio, propone di recarsi insieme alle altre due donne dal curato per tentare a loro volta di convincerlo.
Dopo cena le donne partono all'assalto e arrivano in casa del curato. Questi le fa accomodare e comincia a parlare della peste cercando di evitare il discorso sul matrimonio. Quando inevitabilmente gli viene chiesto ancora una volta di celebrare le nozze, ricomincia a tergiversare e insiste sul fatto che c'è un ordine di cattura, e farebbero meglio a sposarsi nel bergamasco, visto che vogliono trasferirsi in quel luogo[1].
L’arrivo del marchese, erede di don Rodrigo
La discussione va avanti senza trovare un accordo quando arriva all'improvviso Renzo a dare una notizia: nel palazzo di don Rodrigo è arrivato il legittimo erede del signorotto, prova che quest'ultimo è morto. Il nuovo arrivato è un marchese che ha la fama di essere una bravissima persona.
La notizia viene confermata anche dal sagrestano che l'ha visto di persona e fornisce tutti i dettagli.
A questo punto don Abbondio tira un gran sospiro di sollievo e cambia completamente atteggiamento. È convinto che con la morte di don Rodrigo, anche l'ordine di cattura non è più cosa da impensierire e si dichiara ben disposto a celebrare le nozze, e tutti insieme continuano allegri a scherzare sulle loro vicissitudini che sembrano ormai acqua passata.
Il giorno dopo don Abbondio riceve una visita inaspettata. Il marchese è venuto a trovarlo e gli porta i saluti del cardinale Borromeo. Dice che ha saputo da lui la triste vicenda dei due giovani e quando apprende che i due promessi sposi sono al paese, si dichiara disposto a risarcirli per i guai che hanno dovuto subire per colpa del suo parente, e prega don Abbondio di consigliargli un modo per farlo. Il curato gli propone di acquistare le loro case e i terreni, visto che vogliono disfarsene per trasferirsi, e ha paura che le vendano a pochi spiccioli a qualche approfittatore.
Il marchese apprezza questo suggerimento e invita il curato a fissare lui stesso un prezzo più alto del dovuto. Poi gli chiede di accompagnarlo dai due giovani. Lungo il tragitto il marchese viene informato dal curato che Renzo è ancora ingiustamente perseguitato dalle autorità, e lui promette di interessarsi per far ritirare il mandato di cattura.
Raggiungono la casa di Agnese con grande sorpresa di Renzo e le tre donne. Il marchese parla un po' con loro molto cordialmente poi prega don Abbondio di fissare il prezzo. Il curato dice una cifra a suo parere spropositata, e il marchese, facendo finta di aver capito male la raddoppia, e alla fine invita tutti a pranzare al suo palazzo il giorno dopo le nozze, dove avrebbero potuto preparare anche i documento legali di compravendita.
Finalmente per i due giovani, quasi come un premio per compensare tutte le loro tribolazioni, arriva l'assolutoria e il giorno in cui possono celebrare il matrimonio per bocca di don Abbondio. Dopo aver preparato i bagagli e salutato tutti affettuosamente, Renzo, Lucia e Agnese partono per il bergamasco, verso la loro nuova vita.
La nuova vita dopo il matrimonio
Il corso della vita ha preso un corso favorevole per i due giovani, eppure c'è qualcosa che infastidisce profondamente Renzo. Nel nuovo paesello si è parlato molto di Lucia, e probabilmente la fantasia popolare la dipingeva come una principessa, dai capelli d'oro, gli occhi azzurri e le guance rosa. Quando vedono che Lucia è una contadina come tante altre, e secondo alcuni pure bruttarella, vi è una delusione generale[2]. Renzo rimane male quando qualcuno gli riferisce di quelle voci maligne che spettegolano sulla sua amata, e a poco alla volta comincia a odiare quel posto senza sapere neanche lui il vero motivo.
Quando gli capita l'occasione compra un filatoio insieme a suo cugino nelle vicinanza di Bergamo, e si trasferisce in questo luogo, dove non si erano create aspettative su Lucia, che ora non era più criticata, anzi considerata una bella contadina. Gli affari procedono molto bene, e poco tempo dopo nasce il loro primo figlio, e tanti altri negli anni a seguire, che fanno la gioia non solo di Renzo e Lucia, ma anche di Agnese, sempre affaccendata a star dietro ai bambini.
Renzo parla spesso delle sue avventure ed elenca tutte le cose che ha imparato per non mettersi più nei guai. Lucia invece, non accetta quel ragionamento, perché dice che i guai lei non li ha mai cercati e gli sono piovuti addosso per colpa di altri. Dopo molte discussioni i due sposi arrivano a una conclusione comune, e cioè che i guai a volte arrivano per comportamenti incauti, a volte senza colpa. Ma in un caso o nell'altro, la fiducia in Dio li rende più sopportabili e li rende utili per una vita migliore[3].
Alcuni estratti significativi del capitolo 38
[1] Ma cosa volete? Don Abbondio era sordo da quell’orecchio. Non che dicesse di no; ma eccolo di nuovo a quel suo serpeggiare, volteggiare e saltar di palo in frasca. “Bisognerebbe,” diceva, “poter far levare quella catturaccia. Lei, signora, che è di Milano, conoscerà più o meno il filo delle cose, avrà delle buone protezioni, qualche cavaliere di peso: chè con questi mezzi si sana ogni piaga. Se poi si volesse andar per la più corta, senza imbarcarsi in tante storie; giacchè codesti giovani, e qui la nostra Agnese, hanno già intenzione di spatriarsi (e io non saprei cosa dire: la patria è dove si sta bene), mi pare che si potrebbe far tutto là, dove non c’è cattura che tenga. Non vedo proprio l’ora di saperlo concluso questo parentado, ma lo vorrei concluso bene, tranquillamente. Dico la verità: qui, con quella cattura viva, spiattellar dall’altare quel nome di Lorenzo Tramaglino, non lo farei col cuor quieto: gli voglio troppo bene; avrei paura di fargli un cattivo servizio. Veda lei; vedete voi altre.”
[2] Il parlare che, in quel paese, s’era fatto di Lucia, molto tempo prima che la ci arrivasse; il saper che Renzo aveva avuto a patir tanto per lei, e sempre fermo, sempre fedele; forse qualche parola di qualche amico parziale per lui e per tutte le cose sue, avevan fatto nascere una certa curiosità di veder la giovine, e una certa aspettativa della sua bellezza. Ora sapete come è l’aspettativa: immaginosa, credula, sicura; alla prova poi, difficile, schizzinosa: non trova mai tanto che le basti, perchè, in sostanza, non sapeva quello che si volesse; e fa scontare senza pietà il dolce che aveva dato senza ragione. Quando comparve questa Lucia, molti i quali credevan forse che dovesse avere i capelli proprio d’oro, e le gote proprio di rosa, e due occhi l’uno più bello dell’altro, e che so io? cominciarono a alzar le spalle, ad arricciar il naso, e a dire: “eh! l’è questa? Dopo tanto tempo, dopo tanti discorsi, s’aspettava qualcosa di meglio.
[3] Renzo, alla prima, rimase impicciato. Dopo un lungo dibattere e cercare insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso, perchè ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore. Questa conclusione, benchè trovata da povera gente, c’è parsa così giusta, che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia.