Ossia la storia di tutti quei ragazzi che vogliono sembrare uomini prima del tempo
Un racconto di Carlo Collodi, riscritto in italiano semplificato e moderno, adatto a studenti di italiano di livello intermedio. Il racconto è abbastanza lungo ed è suddiviso in 7 capitoli.
1. Il signor Gigino.
Gigino ha quasi dieci anni. Non è bello, ma neanche brutto. Ha degli occhi chiari, i capelli biondissimi, il naso dritto e voltato in su e due gambe un po’ troppo magroline.
Nell’insieme è un bravo ragazzo. A scuola non fa miracoli, ma il suo maestro è abbastanza contento. In casa poi, è il cocco di mamma[1] e l’orgoglio del babbo. Le sorelle e i fratelli maggiori non possono torcergli un capello[2], altrimenti scoppia il finimondo[3].
Ma volete sapere qual è il più grande difetto di questo ragazzino? Difficile da credere, eppure è così: il suo più grande difetto è quello di vergognarsi di essere un bambino, e di volere a tutti i costi sembrare un giovanotto, un uomo fatto!
Se qualcuno gli chiede l’età, di solito risponde:
«Il babbo e la mamma dicono che ho dieci anni: ma lo dicono solo per farmi arrabbiare...»
«E allora quanti ne hai?»
«Mi manca poco per i diciotto. Ancora un anno e sarò di leva[4]...»
«Ma ne sei sicuro?»
«Certo che si. L’età è mia e chi può saperlo meglio di me?»
Anche se Gigino pretende di essere un giovanotto, un ometto maturato prima del tempo, ha i difetti che di solito hanno i ragazzini della sua età. Capriccioso, svogliato, goloso di caramelle e di pasticcini, un po’ bugiardo, prepotente e permaloso con i suoi compagni di scuola, fanatico dei giocattoli fino al punto di piagnucolare[5] ogni giorno qualche soldo per comprarsi un burattino o un cavallo di terracotta con il fischio nella coda.
A questo punto voi mi domanderete: «Ma allora in quale modo il signor Gigino manifesta questa sua grande passione di sembrare un giovanotto?»
Ve lo dico subito: ha un grandissimo desiderio di vestirsi da uomo, come suo fratello maggiore che ormai ha quasi vent’anni. Non vuole il solito berretto, ma un bel cappello a tuba[6]. Non vuole la giacchetta, ma un cappotto di lana nero. E non gli piace il goletto[7] rovesciato, ma preferisce un bel golettone dritto e inamidato[8] che circonda tutto il collo, come il collare dei preti, ma molto più grande.
2. Il cappello a tuba.
Ma la cosa che il nostro Gigino desidera di più è il cappello a tuba. Un giorno ne parla con Veronica, la domestica, che spesso lo porta a passeggiare.
«Veronica, io per un cappello a tuba darei qualunque cosa, anche tutti i miei libri di scuola.»
«E allora perché non chiede al suo babbo di comprarne uno?» risponde la domestica, ridendo come una matta.
«E adesso perché ridi?» domanda Gigino un po’ contrariato.
«Rido, perché un ragazzino piccolo come lei, con in testa un cappello a tuba, somiglierebbe a un fungo porcino.»
«Povera donna! Ti compatisco...»
«Mi compatisca quanto vuole, ma per me, i ragazzi vestiti da uomini grandi, sembrano delle maschere di carnevale...»
Il mattino dopo, il nostro Gigino trova in un armadio un vecchio cappello a tuba di suo padre, pieno di polvere.
Tutto allegro, come chi ha trovato un tesoro, lo porta via di nascosto, si chiude nella sua cameretta, e comincia a spazzolare e strigliare[9] il cappello come se fosse un cavallo.
Il povero cappello in alcuni punti ha perso il colore, ma Gigino trova subito un rimedio. Prende la boccettina d’inchiostro e colora le zone più chiare, fino a restituire al cappello il suo bellissimo colore scuro.
Poi se lo mette in testa, ma il cappello è così largo che gli scende fino al naso.
Gigino non se ne fa un problema, corre subito allo specchio e guardandosi dice tutto contento:
«Ecco qui... adesso sembro proprio un altro... scommetto che neanche la mamma riesce più a riconoscermi. Bisogna dire che un cappello a tuba ti fa sembrare un vero uomo. Se gli uomini portassero il berretto come noi ragazzi, sembrerebbero anche loro tanti ragazzi.
Mi piacerebbe farmi vedere con questo cappello dai miei compagni di scuola. Chissà che invidia... E il maestro?... Scommetto che gli metterei soggezione[10].»
Gigino si toglie il cappello e corre da sua madre.
«Mamma, posso andare dal cartolaio all’angolo per comprare un quaderno.»
«Mi prometti di tornare subito?»
«In un lampo.»
«E non ti fermare a guardare le vetrine.»
«Non sono mica un bambino.»
Senza dire altro, Gigino torna in camera, e dopo due minuti è in mezzo alla strada con il suo bellissimo cappello a tuba.
La gente si volta a guardarlo e ride. Ma lui si pavoneggia[11] contento come una pasqua[12].
Purtroppo, a questo questo mondo, la contentezza dura poco.
Gigino incontra due monelli[13] di strada, che cominciano a girargli intorno e a fargli grandi inchini e dicono:
«Signor Dottore, buongiorno a lei!... Benvenuto signor Dottore!»
Dopo poco arrivano altri monelli che cominciano a strillare:
«Guarda che bel cappellone!... Signor Cappellone, si giri da questa parte!... Evviva Cappellone!...»
E seguono grandi risate, urla, fischi, un baccano indiavolato[14] da diventare matti.
Il povero Gigino prova in tutti i modi a scappare per tornare a casa, ma i monelli si mettono in cerchio e gli chiudono ogni via di fuga.
«State facendo una vera carognata[15]» grida piangendo. «Io vado per i fatti miei e non do fastidio a nessuno... e non voglio che nessuno dia fastidio a me...»
«Bravo Cappellone.» urla un ragazzaccio più insolente degli altri, «Bravo Cappellone!... tu parli meglio di un libro stampato[16]... e meriti la mancia[17].»
E così dicendo tira uno schiaffo al cappello, così forte che la parte di sopra si stacca e vola via, mentre il povero Gigino rimane solo con la tesa[18] che gli pende da un lato della testa.
Figuratevi quante risate.
Appena torna a casa, il nostro amico si chiude in camera per bagnarsi con l’acqua fresca un graffio sul naso, che si è procurato nella confusione.
3. Il goletto dritto e teso.
Il graffio sul naso ancora deve guarire, quando il nostro amico Gigino, per la sua fissazione di vestirsi come un uomo, ha un’altra idea, peggiore della precedente.
Una mattina trova Veronica nel guardaroba che mette a posto la biancheria.
Allora Gigino, con una vocina gentile e incantevole domanda:
«Veronica, mi faresti un piacere?»
«Certo!»
«Ma prima devi promettermi...»
«Che cosa?»
«Di non dire nulla alla mamma.»
«Cominciamo male» dice la domestica alzando la testa e guardando il ragazzo. «Allora è un segreto?»
«Un segreto? No... ma ecco, vorrei...»
«Coraggio, mi dica di cosa si tratta.»
«Si tratta di un goletto da collo di mio fratello Augusto.»
«Cosa c’entra suo fratello Augusto?»
«Augusto mi ha regalato uno dei suoi goletti da collo: ma per me è troppo grande. Puoi restringerlo?»
«E un ragazzino come lei vuole mettersi un golettaccio alto e rigido che sembra il collare di un cane? Abbi pazienza, ma quei goletti stanno bene agli uomini o ai giovanotti, perché ormai la moda vuole così, e con la moda non si può ragionare.Ma i ragazzetti della sua età stanno molto meglio con il goletto rovesciato, che lascia scoperto e libero il collo. Si ricordi bene, signor Gigino, che i bambini devono vestire da bambini, altrimenti rischiano di essere scambiati per uomini che sono rimasti piccoli come dei nanerottoli[19].
«E sarebbe una vergogna? Io sento che il babbo e la mamma, quando vogliono parlare bene di qualche ragazzo, lo sai come dicono? Dicono sempre: quello è un ragazzo che sembra proprio un ometto.»
«Verissimo: ma non intendono dire che sembra un ometto, perché porta i goletti alti e dritti, come fanno gli uomini. Neanche per sogno[20]! Intendono dire che sembra un ometto perché quel ragazzo è calmo, non è imprudente, perché ha giudizio, perché studia e va bene a scuola e perché preferisce i libri ai giocattoli.»
«Basta, basta, Veronica! Il resto me lo dici la prossima volta. Me lo fai questo piacere?»
«Sono sicura che se suo padre fosse tanto buono da comprarle un cappello a tuba, lei non si vergognerebbe di farsi vedere in mezzo alla strada con quella cupola in testa»
Gigino guarda in viso Veronica e poi abbassando la voce domanda:
«Perché dici questo? Hai forse saputo qualcosa?»
«Di che?»
«Del cappello...»
«E cioè?»
«Non sai niente?... Meno male... cosa stavi dicendo?»
«Dicevo che lei sarebbe capace di mettersi un cappello a tuba in testa e andare fuori a farsi vedere da tutti...»
«Certo che ci andrei.»
«Ma non pensa ai fischi e alle risate dei monelli di strada?»
« Veronica, sul serio, hai saputo qualche cosa?...»
«Di che?»
«Meno male: non hai saputo nulla!... Allora cosa stavi dicendo?»
«Dicevo che i ragazzacci di strada sono anche impertinenti... e non si limitano solo a ridere e a fischiare.»
«E cosa possono fare di peggio?»
«Chi lo sa! Magari potrebbero avere la tentazione di dare un bellissimo schiaffo al cappello...»
«E tu credi che se un ragazzo mi rovina il cappello io non ho il coraggio?...»
«Il coraggio di fare cosa?»
«Il coraggio di scappare e di andare subito a raccontarlo alla mamma? Io non ho paura di nessuno.»
«Lo so che lei è molto coraggioso. Infatti la sera, quando si mette a letto, vuole sempre la candela accesa. Non riesce proprio a stare al buio.»
«Cosa c’entra la candela con il coraggio? Il coraggio è una cosa, la candela un’altra. Giusto? E poi devi sapere che il mio maestro di ginnastica ha promesso fra sei o sette anni di insegnarmi la scherma... e quando avrò imparato la scherma, allora non avrò paura più di niente. Ma insomma, Veronica, me lo fai questo piacere, sì o no?»
Mi dispiace doverlo dire, ma Gigino ha un altro difetto che è molto comune fra i ragazzi. Quando comincia a chiedere una cosa non la finisce più[21] fino a quando non l’ha ottenuta.
E a furia di ripetere e di piagnucolare la stessa cosa, diventa così noioso e seccatore, da sfondare lo stomaco.
Veronica, pur di togliersi di torno quel tormento, prende il goletto, ne taglia via un pezzo, e lo ricuce alla meglio[22] con pochi punti, adattandolo al collo del suo padroncino.
Gigino, ballando e saltando, corre in camera sua e finalmente riesce a guardarsi allo specchio con il suo nuovo goletto intorno al collo.
Ma il goletto è così alto e duro, che il povero figliolo sente tagliarsi la gola. Non riesce ad abbassare la testa e neanche a voltarsi né a destra né a sinistra. Sembra proprio un impiccato.
Eppure Gigino è contento e corre subito dalla mamma a chiedere il solito permesso, per andare dal solito cartolaio a comprare il solito quaderno.
Poi però si ricorda della brutta fine del suo cappello a tuba, e pensa prudentemente di non andare in strada, ma scendere solo fino al giardino. Almeno non corre il rischio di incontrare i monelli di strada e si può togliere lo sfizio[23] di far vedere il suo bel goletto al giardiniere, alla moglie del giardiniere e al loro figlio.
Appena arriva sulla porta del giardino, gli viene subito incontro Melampo, un grosso cane da guardia, che comincia a guardarlo male e a ringhiare come se volesse mangiarlo.
«Che cos’ha Melampo?» grida Gigino al figlio del giardiniere. «Non mi riconosce più? Non riconosce il suo padrone?»
«E come fa a riconoscerlo con questo golettone che le fascia tutta la gola?» dice il figlio del giardiniere. «Mi creda, signor Gigino, faccio fatica a riconoscerla anch’io. Cosa le è successo? Com’è che da ieri a oggi è diventato così brutto... con rispetto parlando!»
«Brutto?... In che senso?...»
«Mi creda, signor Gigino, somiglia a un galletto a cui hanno appena tirato il collo... Gli è forse venuto un tumore? Che Dio ci ci liberi tutti[24]»
«Me ne vado... prima di risponderti male.» brontola fra i denti[25] Gigino, e si avvia verso la pergola.
Ma siccome è costretto a camminare a testa alta e non riesce a vedere dove mette i piedi, dopo pochi passi inciampa in un secchione pieno d’acqua e cade disteso sulla ghiaia del viale.
E la sua caduta è così divertente, che alcune galline che beccano nei dintorni, invece di fuggire spaventate, cominciano a sbattere le ali e a fare coccodè coccodè, quasi come se ridessero di gusto alla vista di quel ragazzo così buffo per il suo golettone. Una di queste galline, per lo sforzo di ridere, senza accorgersene sforna anche un bellissimo uovo fresco.
Gigino, come potete immaginare, torna a casa tutto mortificato. E bisogna capirlo. Se ha fatto ridere il figlio del giardiniere, pazienza! Ma far ridere anche le galline, è troppo! Veramente troppo!
4. La scherma.
A questo punto bisogna tornare un po’ indietro.
Dovete sapere, miei piccoli e carissimi lettori, che il brutto caso di quel povero cappello a tuba, maltrattato e diviso in due pezzi sulla pubblica strada, è arrivato alle orecchie di un compagno di scuola del nostro amico Gigino.
E quando un ragazzo sa qualche cosa, potete aspettarvi che dopo cinque minuti lo sanno anche tutti gli altri ragazzi. Magari[26] fosse così anche per l’Aritmetica, la Storia e la Geografia!
Fatto sta, che fra i compagni di scuola di Gigino c’è anche un certo Amerigo, chiamato con il soprannome “il Biondo”, perché ha i capelli e la carnagione molto chiara.
Il Biondo ha una sola passione (bruttissima passione): quella di divertirsi alle spalle degli altri ragazzi.
Figuratevi la sua contentezza, quando gli raccontano la storia del famoso schiaffo al cappello a tuba del povero Gigino!
Prende subito di mira[27] il nostro amico, e non lo lascia più in pace per un solo minuto.
Ogni volta che lo incontra, gli tira uno schiaffo al berretto e poi, con un tono dispiaciuto e mortificato, dice: «Scusa, sai... mi è sembrato che tu avessi in testa il cappello a tuba!... Non lo farò più!...».
Il nostro Gigino, soffre molto per questi scherzi sguaiati[28] e ha tanta voglia di dare una lezione a quel bullo che lo molesta. Ma ha paura, e purtroppo la paura è un grande ostacolo per tutte quelle persone che vorrebbero avere coraggio.
Alla fine, quando non ce la fa più a sopportare le prepotenze, si fa coraggio, e dice al suo maestro di ginnastica:
«Signor maestro, può darmi qualche lezione di scherma».
«Che cosa vuoi fare con la scherma?»
«Voglio battermi...»
«Con chi?»
«Con nessuno.»
«Benissimo: il signor Nessuno è proprio l’avversario giusto per te!» dice il maestro ridendo.
«Eppure anche il babbo dice sempre che, quando sarò più grande, dovrò imparare la scherma...»
«Quando sarai più grande, sì. Ma che cosa vuoi far oggi con la scherma? Oggi che sei un ragazzino che non ha neanche la forza di reggere in mano il fioretto[29]?...»
«Scusi: cos’è il fioretto?»
«Te lo spiegherò un’altra volta.»
«Scusi, signor maestro: non potrebbe darmi qualche lezione, tanto per cominciare?...»
«Va bene, voglio accontentarti. Per oggi t’insegnerò il modo di stare in guardia[30].»
«Mi dispiace... ma in guardia oggi non ci posso stare, perché dopo la scuola, mi aspettano a casa».
Il maestro deve fare uno sforzo tremendo per non scoppiare a ridere. Quindi riprende:
«Coraggio! Mettiti là, dritto, petto in fuori. Benissimo! Ora porta la mano sinistra dietro la schiena... No! Quella non è la mano sinistra, quella è la destra... Va bene così: ora con la destra impugna questo bastoncino, che farà da fioretto».
«Scusi, signor Maestro, che cos’è il fioretto?»
«Te lo spiegherò un’altra volta. Ora allunga il braccio destro, e facendo un passo in avanti, muoviti verso di me, come se tu volessi colpirmi.»
«E poi?»
«E poi la lezione è finita.»
«È tutta questa la scherma?»
«Per la tua età, ne hai imparata anche troppa.».
Dopo quella lezione di scherma, Gigino si sente come il gigante Golia. Nessuno gli fa più paura.
Infatti appena trova il Biondo gli va incontro con decisione e gli dice: «Mi hai veramente stancato. Ti aspetto dopo la scuola, se hai il coraggio di venire.»
Detto fatto[31], dopo la scuola, i due avversari si ritrovano in una piazzetta deserta uno di fronte all’altro.
«Attento!» dice Gigino al Biondo. «Allunga il braccio destro, e passa la mano sinistra dietro la schiena.»
«Parli con me? Io non ho tempo da perdere, perciò mi sbrigo subito.»
E senza dire altro, salta addosso a Gigino e gli tira una scarica di pugni, sufficiente a stendere anche un asino.
Il nostro amico torna a casa tutto indolenzito. Lungo la strada si consola di tanto in tanto, dicendo fra sé:
«È vero che ho perso! Però quella non era scherma, quelli erano pugni».
5. La caduta da cavallo.
Quando arrivano le vacanze, Gigino va a passare due mesi in una villa di campagna insieme con sua madre.
Il padre rimane in città, perché vuole diventare deputato alla Camera. Per fare la sua campagna elettorale, gira dalla mattina alla sera da una casa all’altra, come un postino.
A poca distanza dalla villa del nostro amico c’è un casolare abitato dalla famiglia di un contadino: vale a dire padre, madre e due ragazzetti.
Il maggiore di questi due ragazzi ha forse la stessa età di Gigino, e si chiama Cecco. Il minore invece è un bambinetto di appena quattro anni.
«Come si chiama questo bimbo?» domanda Gigino alla mamma.
«Il suo nome vero è Brandimarte: ma noi, qui in famiglia, lo chiamiamo Formica, perché è piccolo come un baco da seta.»
Gigino, come potete immaginare, passa tutte le sue giornate in casa del contadino, ed è diventato l’amico inseparabile di Cecco.
Una volta Gigino chiede al suo amico:
«Cosa possiamo fare per divertirci un po’?»
«Senta, signor Gigino, io ho un bel carrettino di legno a quattro ruote. Lei entri dentro, e farà il padrone, e io farò il cavallo che tira il carretto.»
«Questi mi sembrano proprio dei giochi da ragazzi!» dice Gigino, con l’aria di uomo serio.
«Perché? Lei è forse vecchio?»
«Non dico di essere vecchio: ma ormai tutti mi scambiano per un giovanotto.»
«Davvero?», dice Cecco, «Io però l’ho scambiata per un ragazzo...»
«Un ragazzo io?... Ma non sai che fra dieci anni sarò di leva e dovrò fare il soldato?»
Cecco risponde con una scrollata di spalle.
«E a parte il carretto a quattro ruote, non hai un’altro passatempo?...»
«L’anno scorso ce l’avevo...»
«Che cosa avevi?»
«Un cavallino bianco, così bravo e tranquillo, che mi veniva dietro come un pulcino.»
«E ora è morto?»
«Il padrone l’ha venduto.»
«E quando lo ricomprate il cavallo?»
«Il cavallo ce l’abbiamo, ma sarebbe quasi meglio non averlo. È uno dei quei cavallacci cattivi!... Appena uno gli fa una carezza, abbassa subito le orecchie e tira fuori certi dentoni, che sembrano manichi di coltello.»
«E corre veloce?»
«Più veloce di un berbero[32]. Su quel cavallo io non ci salgo neanche se mi legano con una corda.»
«Non ti vergogni di essere così pauroso?»
«No».
«Hai torto: un ragazzo della tua età dovrebbe avere molto più coraggio...»
«Lo so anch’io: ma per avere coraggio, bisogna non aver paura.»
«Quando avevo la tua età, nessun cavallo poteva farmi paura. Anzi, più erano veloci e focosi, e più mi divertivo.»
«Mi tolga una curiosità», dice Cecco, guardando il padroncino con un’aria divertita, «ha montato[33] molti cavalli?»
«Te lo lascio immaginare!...»
«Per esempio... quanti?»
«Talmente tanti che ho perso il conto[34]!...»
«Quindi potrebbe montare anche il Matto?»
«Chi è il Matto?»
«È il cavallaccio che abbiamo nella stalla.»
«E perché lo chiamate il Matto?»
«Perché è una bestia, con la quale non si può ragionare.»
«Me lo fai vedere?»
«Ma certo!»
I due ragazzi, senza dire altro, si alzano dalla panchina dove sono seduti e si avviano verso la stalla. Appena giunti alla porta, Gigino dice a Cecco:
«Porta fuori il Matto!»
E Cecco va a prendere il cavallo.
Quando Gigino vede l’animale, scrolla il capo[35] con un atteggiamento di compassione e dice:
«Questo, caro mio, non è un cavallo: questa è una pecora.»
«Eppure scommetto che lei...»
«Io?... Guarda che io ho cavalcato certi cavalli, che tu non te li sogni nemmeno.» (Si capisce bene che Gigino racconta un sacco di frottole[36], ma lo fa solo per la sua mania di essere considerato un giovanotto.)
«Vuole provare a montarci sopra, a bisdosso?»
«A bisdosso? Cosa vuol dire?»
«Senza sella.»
«Volentieri. Vai a prendermi una sedia.»
«Che cosa ci deve fare con la sedia?»
«Ora lo vedrai.»
«Ma che un cavallerizzo, come lei, ha bisogno della sedia? Io, quando voglio montare a cavallo, mi attacco ai peli della criniera, faccio un bel salto, e in un’istante mi trovo con una gamba di qua e una di là...»
«Ognuno ha le sue opinioni: io, senza una sedia, non posso montare a cavallo.»
Cecco porta una sedia tutta sgangherata[37]. Gigino sale sulla sedia, e alza la gamba sinistra invece della destra, così si trova a cavallo, ma girato verso la coda dell’animale.
Allora Cecco, sbellicandosi dal ridere[38], comincia a gridare:
«No, signor Gigino, no, ha sbagliato porta. Si giri al contrario; perché la testa del cavallo è da quell’altra parte».
«Lo so, lo so» risponde Gigino con molta disinvoltura[39] «ma devi sapere che quando io monto a cavallo, per precauzione mi metto prima girato dalla parte della coda...»
«Perché?»
«Perché, caro mio, le precauzioni non sono mai troppe.»
«Ora ho capito», dice Cecco, che non ha capito niente.
Intanto, con molti sforzi e dopo molti tentativi, Gigino riesce a girarsi verso la testa del cavallo.
Appena riesce a compiere questa difficile manovra, l’animale irrequieto parte al galoppo. Figuratevi il povero Gigino, che finora ha cavalcato solo il suo bellissimo cavallino di legno, che la mamma gli ha comprato come regalo di compleanno. Quanti salti e quanti scossoni sulla groppa del Matto. Il povero ragazzo a volte pende da un lato, a volte dall’altro. E Cecco... quel monello di Cecco, quando vede il suo padroncino che rischia da un momento all’altro di fare un brutto capitombolo[40], invece di aiutarlo, si piega a terra dalle risate.
E purtroppo il momento del capitombolo arriva. Gigino cade come un sacco di patate, fra la polvere della strada, mentre il cavallo, se ne va indifferente a mangiare erba nel campo vicino.
«Si è fatto molto male?» gli domanda Cecco, che nel frattempo è arrivato di corsa per aiutarlo.
«E perché mi dovrei esser fatto male?»
«Ha fatto una brutta caduta!»
«Davvero credi che io sia caduto? Povero sciocco! Volevo scendere, e mentre scendevo ho messo un piede in fallo e sono scivolato. È una disgrazia che può accadere a tutti.»
«Davvero! L’altro giorno, per esempio, sono scivolato anch’io...»
«Scendendo da cavallo?»
«No, mettendo un piede sopra una buccia di fico. E questo bernoccolo che gli è venuto qui sulla fronte?...»
Gigino si tocca la fronte con la mano, e sente che c’è davvero un bernoccolo, e con la solita disinvoltura dice:
«Quando sono sceso ho battuto il ginocchio. Se io batto un ginocchio, mi viene subito un bernoccolo in testa. Ho la pelle molto delicata...»
6. Il sigaro.
Volete saperne un’altra? Pochi giorni dopo, all’ora di pranzo, il nostro amico entra in casa del contadino e trova tutta la famigliola a tavola: vale a dire, Tonio, il capofamiglia, sua moglie Betta, e i due ragazzi Cecco e Formica, quest’ultimo chiamato così, perché (come già sapete) è piccolo quanto un baco da seta.
Che cosa è andato a fare il signor Gigino?
Potete star certi che un motivo ce l’ha. Eccome[41] se ce l’ha.
Tonio e Betta lo invitano a mangiare con loro, del pane e del formaggio fresco.
Gigino ringrazia ma dice di aver già fatto colazione. Poi con l’aria di un adulto serio si mette a chiacchierare del più e del meno[42].
Appena si accorge che gli altri stanno per terminare il pranzo, tira fuori dalla tasca un bel sigaro toscano, lo spezza con la grazia di un vecchio fumatore e offre la metà al capofamiglia Tonio.
«Mi dispiace», dice il contadino con riguardo, «ma non posso accettare la sua gentile offerta...»
«Perché?»
«Perché non fumo, e non ho mai fumato.»
«Davvero?»
«Il sigaro, con rispetto parlando, mi sembra una gran porcheria. Lo dice anche il nostro medico...»
«Bravo furbo! E tu dai retta al tuo medico?»
«Certo! Crede forse che il nostro medico sia uno stupido? Lui è un medico molto bravo e sa le cose. Quando un suo paziente muore, è solo perché non ha più voglia di vivere.»
«E che cosa dice il vostro medico dei sigari?»
«Dice che i sigari sono la peste del genere umano, e la causa di tutte le malattie che vengono sulla lingua, in gola e in fondo allo stomaco.»
«Stupidaggini! Ti pare che se i sigari facessero male davvero, il governo li lascerebbe vendere in tutte le botteghe?»
«Scusi, ma lei fuma?»
«Certo che fumo!»
Gigino, come al solito dice una grande bugia, perché non ha mai fumato in vita sua.
«E il sigaro non le rovina l’appetito?»
«Rovinarmi l’appetito? A me? Devi sapere che io ho una salute di ferro, e quando fumo un mazzo di sigari, sto meglio di prima. E tu, Cecco, sei fumatore?»
«Vorrei vedere anche questa!», urla la Betta inviperita[43], alzandosi in piedi e puntando le mani sulla tavola.
«Io», risponde il ragazzo ridendo, «fumo qualche volta: ma fumo i sigari di cioccolata...»
«Mi dispiace per te!», dice Gigino. «Sei ancora troppo piccolo per i sigari... Mi puoi accendere un fiammifero?»
«Volentieri.»
Cecco accende un fiammifero di legno e lo avvicina a Gigino, il quale si mette il mezzo sigaro fra le labbra e comincia a fumare.
Tutti lo guardano con gli occhi spalancati, come se fosse una bestia rara. All’improvviso il piccolo Formica si gira verso la madre e con una vocina piagnucolosa dice:
«Mamma, fai smettere il signor Gigino?»
«Che cosa ti fa il signor Gigino?»
«Mi fa le boccacce[44]!»
E Formica ha ragione: perché il nostro amico, fra una fumata e l’altra, contorce la bocca e fa certe smorfie, da mettere quasi paura.
Poi tutt’a un tratto diventa bianco come un lenzuolo. Vuole alzarsi in piedi, ma le gambe non lo reggono.
«Si sente male?» gli domanda preccupata la Betta.
Gigino prova a rispondere qualche cosa, ma gli manca il fiato. Invece comincia a fare strani rumori di gola e di stomaco. Allora Tonio corre subito a prendere una catinella, ma non fa in tempo: Gigino vomita sul tavolo tutta la colazione fatta due ore prima.
Povero ragazzo! Dopo un’ora di voltastomaco[45], in cui gli sembra di morire, se ne torna alla villa mezzo intontito. Salendo le scale dice fra sé e sé: "Avrei fatto meglio a fumare un sigaro di cioccolata!..."
7. La giubba a coda di rondine[46]
Finita la villeggiatura, il bravo Gigino deve presentarsi agli esami per essere ammesso alle scuole secondarie.
Il giorno prima dell’esame dice a suo padre: «Babbo, domani lascerò tutti i maestri a bocca aperta. Ho studiato talmente tanto che adesso ne so più di uno scienziato.»
Il giorno dopo viene bocciato senza pietà e per poco non lo buttano fuori a pedate.
Credete forse che il nostro amico si senta mortificato?
Nemmeno per sogno. Anzi, quando il babbo e la mamma lo rimproverano per aver fatto una figura davvero meschina e per aver perso inutilmente un anno di scuola, volete sapere come risponde?
«Cosa cambia un anno in più o un anno in meno? Non sono mica vecchio? Ho appena nove anni, e ho tutto il tempo per recuperare.»
Sissignori! Quel monello, quando è spinto dalla vanità di vestirsi come un giovanotto, dice di avere l’età per il servizio militare, quando invece deve trovare scuse per non studiare, ecco che diventa di nuovo un bambino di nove o dieci anni appena.
Se non altro, almeno da un po’ tempo ripensa spesso a tutto quello che gli è successo. La storia del cappello a tuba, la risata delle galline per il suo golettone inamidato, le sberle avute dal Biondo, la caduta da cavallo seguita dal bernoccolo in testa, e il sigaro traditore che gli ha fatto vomitare la colazione.
Ripensando a tutte queste cose, a poco alla volta si convince che la vanità di sembrare un giovanotto gli ha dato molti dispiacere e poche soddisfazioni. E giura sul serio di cambiare vita e rimanere un ragazzo senza più cercare di sembrare un giovanotto. E riesce a mantenere il giuramento per diversi mesi, nonostante numerose tentazioni.
Ma purtroppo una sera...
Vi racconto questa ultima disgrazia di Gigino, ma con delle parole allegre per non farvi piangere.
Una sera a casa sua c’è una festa da ballo.
Gigino non vuole sfigurare di fronte agli altri. Si chiude in camera e si pettina, si liscia, si agghinda[47], come un vero modello di Parigi. Ha una bella camicia bianca, con il goletto rovesciato, una giacchetta di panno[48] nero, che gli calza a pennello[49].
Quando sente il pianoforte che suona la polca e la mazurka, corre subito nella sala, ma prima di entrare fa capolino[50] alla porta e vede...
Vede un brulichìo[51] di cravatte bianche e giacche a coda di rondine. La giacca a coda di rondine è stata sempre la sua grande passione, il suo sogno segreto. Qualche tempo prima, infatti, è passato il sarto per aggiustargli una giacca. Gigino gli ha chiesto: «Scusi... non si potrebbero attaccare dietro questa giacca due falde come quelle belle giubbe a coda di rondine?»
«Si può fare tutto,» aveva risposto il sarto « ma una giacca a coda di rondine non è adatta a un ragazzino della sua età.»
«E quanto anni bisogna avere per indossarla?»
«Almeno diciotto o vent’anni.»
«Mi sembra una grande prepotenza. Dunque, siccome siamo ragazzi, dobbiamo sempre vestirci come vogliono gli altri?»
«Arrivederla signor Gigino» aveva risposto il sarto, e se n’era andato scuotendo il capo e mordendosi i baffi.
La sera della festa da ballo, il nostro amico sente di nuovo la sua grande passione per la giubba. Il suo piccolo cervello da grillo comincia a pensare intensamente:
«Potrei mettere la giubba di Augusto... Augusto è a Roma... e fino a lunedì non ritorna. La sua giubba mi sta benessino... forse un po’ larga e un po’ lunga... ma in mezzo a quella folla di ballerini e di ballerine, chi se ne accorge?».
E allora entra nella camera del fratello, prende la giubba e se la infila.
Quando entra in sala, scoppia una risata che non finisce più. Ridono tutti, anche il pianoforte. Una signorina inizia a ridere così tanto, ma così tanto, che non riesce più a respirare e viene portata fuori dalla sala quasi svenuta.
A questo punto il pianoforte smette di suonare, le coppie smettono di ballare, e tutti si affollano intorno alla ragazza che si è sentita male.
«Povera giovinetta! Ha riso troppo! Il troppo ridere qualche volta fa male!», dicono alcuni.
«E come mai rideva in quel modo?» domandano altri.
«La giubba del signor Gigino.»
«Vediamo questa famosa giubba.»
«Sì, vediamola davvero.»
E Gigino, irritato da quella folla di curiosi divertiti dalla sua giubba, scoppia a piangere e scappa dalla sala come un gatto spaventato.
Da quella volta Gigino ha messo la testa a posto. Si è liberato della sua ridicola passione per i vestiti da uomo adulto.
E ha fatto bene, perché i ragazzi, quando si vestono da ragazzi, fanno più bella figura di quei marmocchi[52] che vogliono sembrare adulti.
[1] cocco di mamma: il bambino preferito in famiglia, di solito il più piccolo, quello che riceve più attenzioni dalla madre.
[2] non torcere un capello: non poter fare il minimo danno, neanche a un capello.
[3] finimondo: fine del mondo ma solo come locuzione figurativa che significa grande confusione rumorosa di gente che litiga.
[4] essere di leva: avere l’età per il servizio militare.
[5] piagnucolare: lamentarsi in modo insistente e fastidioso.
[6] cappello a tuba: un tipo di cappello a cilindro molto alto.
[7] goletto: corrisponde a quello che oggi chiamiamo il colletto della camicia, con la differenza che poteva essere attaccato e staccato dalla camicia. I bambini usavano un goletto rovesciato, vale a dire piegato verso il basso, proprio come le camicie moderne. I maschi adulti ed eleganti usavano invece un golettone molto alto e rigido, che circondava tutto il collo.
[8] inamidato: rigido a causa dell’amido usato durante la stiratura.
[9] strigliare: strofinare con forza. Letteralmente significa pulire con la striglia, un tipo di spazzola usata per pulire i cavalli e gli asini.
[10] soggezione: stato di disagio che si prova di fronte a una persona molto importante.
[11] pavoneggiarsi: mettersi in mostra con compiacimento per farsi ammirare, come un pavone quando apre la coda.
[12] contento come una pasqua: un’espressione molto usata. La Pasqua è associata alla gioia per la Resurrezione di Cristo.
[13] monello: ragazzino maleducato e impertinente.
[14] baccano indiavolato: rumore insopportabile di persone che urlano.
[15] carognata: azione malvagia.
[16] parlare come un libro stampato: riferito in modo scherzoso a chi usa un linguaggio colto.
[17] mancia: piccolo compenso facoltativo in danaro dato a chi offre un servizio, in genere ai camerieri.
[18] tesa: la parte inferiore e più rigida del cappello, che poggia sulla testa.
[19] nanerottolo: nano piccolo e buffo.
[20] neanche per sogno: locuzione che significa assolutamente no.
[21] non la finisce più: continua a insistere senza interruzione.
[22] alla meglio: il meglio che può fare senza perdere troppo tempo.
[23] togliere lo sfizio: soddisfare un desiderio per qualcosa di non necessario.
[24] che Dio ci liberi tutti: è un’invocazione a Dio per liberarci da questo male. Molto usata è anche l’invocazione che Dio ce ne scampi e liberi.
[25] brontolare fra i denti: parlare a bassa voce e senza pronunciare bene le parole.
[26] magari: esprime un forte desiderio per qualcosa ritenuta irrealizzabile.
[27] prendere di mira qualcuno: concentrare la propria attenzione su qualcuno con cattiveria, tormentare continuamente.
[28] sguaiato: volgare e rozzo.
[29] fioretto: un tipo di spada che si usa nella scherma.
[30] stare in guardia: Gigino confonde l’espressione stare in guardia, che significa assumere una posizione di difesa, con l’espressione stare di guardia, che significa fare la sentinella.
[31] detto fatto: una locuzione per indicare che l’azione segue immediatamente il pensiero.
[32] berbero: cavallo piccolo e molto veloce, di origine nord-africana.
[33] montare: salire. In questo caso vuol dire salire sul cavallo, cavalcare.
[34] perdere il conto: non ricordare più il numero del conteggio.
[35] scrollare il capo: muovere ripetutamente il capo a destra e a sinistra per manifestare disappunto.
[36] frottole: bugie talmente esagerate da non essere neanche credibili.
[37] sgangherata: molto rovinata e instabile.
[38] sbellicarsi dal ridere: ridere in una maniera incontrollabile.
[39] con disinvoltura: in modo molto naturale, senza preoccupazione.
[40] capitombolo: una caduta con la testa in giù.
[41] eccome: serve a confermare con forza.
[42] parlare del più e del meno: parlare un po’ di tutto, senza avere un argomento specifico.
[43] inviperita: aggressiva e velenosa come una vipera (la vipera è l’unico serpente velenoso presente nel territorio italiano)
[44] boccaccia: smorfia fatta con la bocca per esprimere disprezzo o derisione.
[45] voltastomaco: senso di nausea che provoca vomito.
[46] giubba a coda di rondine: giacca con due falde posteriori tagliate a forma di coda di rondine. In inglese è chiamata anche tailcoat.
[47] agghindarsi: vestirsi in modo troppo vistoso.
[48] panno: un tipo di tessuto di lana.
[49] calzare a pennello: modo di dire riguardo un capo di abbigliamento quando la misura è perfetta e veste benissimo, come se fosse stato dipinto dal pennello di un grande artista.
[50] fare capolino: affacciarsi sporgendo solo il capo.
[51] brulichìo: movimento agitato di molte persone o anche di insetti.
[52] marmocchio: bambino, ragazzino. Usato in modo scherzoso.