Questo racconto di Italo Calvino fa parte di una raccolta pubblicata nel 1963 con il titolo «Marcovaldo ovvero le stagioni della città». Riscritto in italiano semplificato per studenti stranieri di livello intermedio. (B1-B2)
Alle sei di sera le persone smettono di lavorare e si preparano ad assaltare i negozi. Per tutta la giornata hanno prodotto dei beni di consumo. Ma a una certa ora diventano dei consumatori. Si riversano nelle strade, sui marciapiedi, sotto portici, davanti alle vetrine illuminate, dove sono esposti salami rossi appesi, rotoli di tessuto, capi di abbigliamento. Toccano le merci, le rimettono a posto, le riprendono, se le strappano di mano. Si accalcano intorno alle casse, cercano i soldi nei borsellini[1], portano via pacchi e pacchetti.
Una sera Marcovaldo passeggia con la moglie e i figli. La famiglia è numerosa, lo stipendio è poco, e tra rate e debiti, non ha mai soldi in tasca. L’unica cosa che può permettersi è guardare gli altri fare la spesa. Ma anche guardare può essere divertente, specialmente nel supermarket, perché funziona con il self-service, dove ognuno può girare a suo piacere senza essere obbligato a comprare niente.
Quindi entra nel negozio, prende un carrello per lui, uno per sua moglie e uno per ciascuno dei suoi figli. E così vanno in giro fra i vari comparti pieni di cose buone da mangiare, ognuno col proprio carrello.
– Papà, possiamo prendere questo? – chiedono ogni minuto i suoi bambini.
– No, non si tocca, è proibito. – risponde Marcovaldo, che non ha soldi per pagare.
– E perché quella signora li prende? – insistono i figli, vedendo le signore che buttano nel carrello lattine di pomodori pelati, pesche sciroppate, alici sott’olio.
Insomma, se il tuo carrello è vuoto e quello degli altri è pieno, dopo un po’ ti prende un’invidia, un crepacuore[2], un tale desiderio irrefrenabile[3] da non riuscire più a resistere. Allora Marcovaldo, dopo aver raccomandato alla moglie e ai figli di non toccare niente, gira velocemente a una traversa fra i banchi, per non farsi vedere dai suoi familiari. Vuole provare il piacere di mettere qualcosa nel carrello e portarlo in giro per un quarto d’ora. Prende una scatola di datteri, una bottiglia di salsa piccante, un sacchetto di caffè, un pacco di spaghetti. Ma i bambini non devono assolutamente vederlo, altrimenti questi cominciano a imitarlo. Perciò deve far perdere le sue tracce, e cammina a zig zag fra i vari reparti.
A poco alla volta il suo carrello diventa sempre più pieno, mentre gli altoparlanti diffondono una dolce musichetta, e i consumatori prendono e posano le merci a ritmo di musica. Arriva in un reparto poco frequentato, con prodotti strani, chiusi dentro scatole con figure non molto chiare. Prende una scatola, la guarda, ma non riesce a capire se sia del concime per lattuga, o semi di lattuga, o lattuga vera e propria, o veleno per i bruchi della lattuga, o mangime per attirare gli uccelli che mangiano i bruchi della lattuga, o condimento per la lattuga, o condimento per gli uccelli arrosto. Comunque ne prende tre scatole.
Mentre gira con il suo carrello pieno zeppo[4] di merce, all’improvviso si apre davanti a lui un lungo spazio vuoto e deserto, e in fondo c’è la cassa con l’uscita. Il suo primo istinto è quello di mettersi a correre a testa bassa, spingendo il carrello come un carro armato, e scappare dal supermarket prima che la cassiera riesca a dare l’allarme. Ma proprio in quel momento, da un’altra corsia, si affaccia sua moglie Domitilla, con un carrello ancora più pieno del suo. E subito dopo, da un’altra corsia si affaccia suo figlio Filippetto, anche lui con il carrello pieno. E via di seguito, uno ad uno, tutti gli altri figli, coi carrelli pieni come navi mercantili. Ognuno ha avuto la stessa idea di Marcovaldo.
– Indietro! Presto! Lontani dalla cassa! – esclama Marcovaldo, si gira nella direzione opposta e comincia a correre piegato in due, come se fosse sotto il tiro del fuoco nemico[5]. Moglie e figli lo seguono, uno dietro l’altro, spingendo i carrelli come i vagoni di un treno.
Si sente una voce all’altoparlante: – Attenzione! Tra un quarto d’ora il supermarket chiude! Siete pregati d’affrettarvi alla cassa!
È arrivato il momento di rimettere a posto la merce. I prodotti però li posano un po’ a caso: la carta moschicida[6] sul banco del prosciutto, un cavolo in mezzo alle torte, una bottiglia di vino nella carrozzella di un neonato. Però posare le cose senza neanche aver potuto assaggiarle è veramente una sofferenza. Così capita, che mentre posano un tubetto di maionese, prendono un casco di banane, oppure posano una spazzolone e prendono un pollo arrosto. In questo modo i loro carrelli si svuotano e si riempiono alla stessa velocità.
La famiglia sale attraverso le scale mobili da un piano all’altro, e ogni volta si trova davanti a una cassiera. Marcovaldo vede una parete dove ci sono dei lavori in corso: degli operai hanno smontato alcuni pannelli e, finito l’orario di lavoro, hanno lasciato tutto così com’era.
Con il carrello davanti si infila per il buco del muro e tutta la famiglia gli va dietro. Dall’altra parte c’è buio. Si accorge di camminare su un pavimento irregolare, a volte sabbioso, poi fatto di assi di legno instabili. Ad un tratto vedono tante luci lontane e tutt’intorno il vuoto. Sono finiti al settimo piano di una impalcatura, e sotto di loro si estende la città, con le finestre e le insegne illuminate, le scintille elettriche delle antenne dei tram, le luci rosse delle stazioni radio.
Si vede arrivare verso l’impalcatura un cassone appeso ad un filo metallico: è la benna[7] di una gru. Marcovaldo inclina il carrello e rovescia tutta la merce nel cassone. La stessa cosa fanno la moglie e i figli. Il cassone si allontana con tutte le mercanzie.
[1] borsellini: portamonete.
[2] crepacuore: stato di profonda sofferenza psicologica.
[3] irrefrenabile: che non si riesce a controllare.
[4] pieno zeppo: pieno fino al limite, da non poterci aggiungere altro.
[5] tiro del fuoco nemico: Marcovaldo corre piegato come un soldato che cerca di non farsi colpire dai colpi dei nemici.
[6] carta moschicida: una carta con colla per catturare le mosche.
[7] benna: recipiente a forma di cassone applicato alla fune di una gru per sollevare materiale. (vedi immagine)