Racconto tratto dalla raccolta di novelle «Le cene» di Anton Francesco Grazzini detto il Lasca (1505-1584). Riscritto in italiano semplificato e adattato a studenti di livello intermedio (B1-B2)

 

Nel 1500 a Firenze vive un uomo che si chiama Guasparri del Calandra. Di mestiere fa il battiloro. Il battiloro è un antico mestiere che oggi non esiste più. Come dice il nome «batti l’oro» Guasparri lavora con un grande martello e batte l’oro finché diventa una sottile lamina.

È un uomo buono è molto bravo nel suo lavoro. Però è un po’ stupido e credulone. Con il suo lavoro è diventato abbastanza ricco e quando suo cognato muore, sua moglie eredita due poderi[1] nella campagna di Prato e due case a Firenze. Allora Guasparri decide di smettere di lavorare.

Ha un solo figlio, quindi non deve preoccuparsi molto della famiglia. Ha una serva che si occupa delle faccende domestiche. Ha molto tempo libero. Di solito di giorno passeggia, si riposa o dorme. Siccome a Guasparri piace il vino, spesso si ferma nelle osterie della città. Si ritiene un vero intenditore e sceglie sempre i vini migliori. Conosce tutte le osterie e tutte le qualità di vino.

Un giorno, dentro l’osteria, quattro amici di nome Pilucca, Scheggia, Monaco e Zoroastro invitano Guasparri a bere vino al loro tavolo. Questi individui sono conosciuti per la loro furbizia e la mancanza di scrupoli. Dei veri lestofanti[2]. Ma Guasparri è una persona ingenua, senza malizia. Non sospetta mai delle cattive intenzioni degli altri.

– Guasparri – esclama Pilucca mentre versa del vino nella coppa – Dicono che sei un grande intenditore. Assaggia questo vino e dimmi come ti sembra.

Guasparri osserva attentamente il vino nella coppa, beve a piccoli sorsi e assapora lentamente.

– Mi dispiace amici. Spero di non offendere nessuno, ma questo vino fa veramente schifo.

– Davvero? – interviene Scheggia – siamo proprio dei poveri stupidi. L’oste ci gabba facilmente. Approfitta della nostra ignoranza.

– Ma no, amici miei. Non siete stupidi. Questo è il vino che l’oste vende a tutti. Il vino buono è nascosto in cantina. Se mi permettete vi offro un fiasco di vino molto buono.

– Oh ma che uomo gentile. Sono curioso di assaggiare questo vino riservato a pochi.

Guasparri si alza, si avvicina all’oste e sussurra qualcosa all’orecchio. L’oste si allontana e poco dopo ritorna con un fiasco di vino.

– Assaggiate questo e poi mi dite come vi sembra – dice Guasparri mentre versa il vino nelle coppe.

– Oh... ma è il nettare degli dei – esclama estasiato[3] Zoroastro

– Una vera delizia.... degno della tavola del Re – aggiunge Monaco.

– Guasparri. Amico mio. Tu sei un vero genio. Non ho mai assaggiato niente di più buono. – dice Scheggia.

È cosi i quattro amici lusingano a lungo Guasparri, che si sente inebriato[4] da tutti quei complimenti.

Ad un certo punto Pilucca dice – Senti Guasparri. Noi ci incontriamo ogni sera a casa mia. C’è un bel cortile con una grande pergola[5]. Ceniamo insieme, beviamo qualche bicchiere di vino a raccontiamo tante storie. Ci fa molto piacere averti come ospite. Vero amici?

– Certo, certo.... sicuramente – rispondono gli altri.

Guasparri è felice di accettare l’invito di persone così simpatiche.

Pilucca aggiunge – Ci occupiamo noi del cibo. Ma ci fa piacere se ti occupi tu del vino. Sei un vero intenditore e mi sembra giusto lasciare a te la scelta. Alla fine la spesa la dividiamo tutti in parti uguali.

– Va bene amici – dice soddisfatto Guasparri – oggi faccio un giro in un paio di osterie che conosco, e vi porto alcuni dei migliori vini della città.

Guasparri saluta gli amici e rimane d’accordo per la cena a casa di Pilucca. Poi fa il giro delle osterie e compra almeno quattro tipi di vini fra i migliori. La sera si presenta a casa di Pilucca con diversi fiaschi. Trascorre una bellissima serata, con cibo e vino. Raccontano tante storie fino a notte fonda. Durante tutta la serata i quattro lestofanti, per raggiungere il loro obiettivo, fanno grandi complimenti sulle capacità di Guasparri di selezionare i migliori vini.

Quando arriva il momento di dividere la spesa Guasparri dice:

 – Amici miei. Sono così contento della vostra compagnia. Sapere che il vino che ho scelto vi piace così tanto, mi rende orgoglioso. Ho deciso. Il vino lo offro io. Ora e sempre. Non voglio un soldo.

– Ma no! – esclama Pilucca – cosa dici Guasparri? Vogliamo dividere la spesa con te.

– Certo! Non vogliamo approfittare della tua generosità. – aggiunge Scheggia.

– Insisto. Credetemi. Sono felice di offrire il vino. È poca cosa in confronto alla vostra compagnia e al divertimento che offrite. Va bene così.

I quattro amici si guardano ridendo sotto i baffi[6]. Hanno raggiunto l’obiettivo. Da oggi in poi si beve gratis. Così ogni sera Guasparri cena con gli amici a casa di Pilucca. I quattro lestofanti dividono solo la spesa del cibo, per questo non mangiano mai molto. Il vino invece è gratis, quindi non hanno limiti nel bere. Loro considerano Guasparri un uomo stupido e noioso. Ma continuano a invitarlo e lusingarlo soltanto per il vino che porta. Sempre abbondante e della migliore qualità.

Dopo cena vanno avanti per ore a raccontare storie. Molto spesso fanno discorsi bizzarri: parlano di streghe e incantesimi, di spiriti e di morti. Guasparri però dice sempre – Sciocchezze! I morti sono morti. Sono troppo impegnati nell’altro mondo a soffrire, perché devono venire nel nostro mondo a fare paura o del male a noi vivi?

Però i suoi amici sanno che Guasparri ha molta paura di spiriti e morti. Parla in questo modo solo per non sembrare un vigliacco.

Un giorno Guasparri, mentre cammina per la città, incontra il vecchio zio Damiano e si ferma a chiacchierare.

– Salute caro zio. Come stai?

– Salute a te, figliolo. Sto come un vecchio. Pieno di acciacchi[7]. E tu? So che spesso ti incontri con Lasca, Pilucca e gli altri lestofanti – dice Damiano

– Come “gli altri lestofanti”? – domanda Guasparri.

– Eh sì, lestofanti: è proprio così. Lestofanti e scrocconi[8]. Non sai che tutta Firenze ride di te…?

– Ride di me?

– Già, eccome! I tuoi amici, se amici si possono chiamare, dicono che porti grandi quantità di vino ogni sera. Tutti a Firenze sanno che sei sciocco e credulone, povero nipote mio…

Quando Guasparri lascia suo zio, è veramente molto turbato.

– Sciocco,credulone….È così che dicono ... – continua a ripetere mentre torna a casa.

Quando arriva a casa prende una decisione.

– Se è così, non voglio più vedere questi amici. Vado via da Firenze per qualche giorno. Da oggi in poi compreranno il vino con i loro soldi.

Così, senza dire nulla agli amici, Guasparri con la moglie, il figlio e la serva vanno in una delle sue proprietà in campagna. Pilucca e i suoi amici continuano ad incontrarsi ogni sera. Però senza il meraviglioso vino di Guasparri, le cene non sono più la stessa cosa. Dopo meno di quindici giorni, Guasparri, stanco e annoiato dalla vita di campagna, torna a Firenze. Lo stesso giorno incontra Pilucca.

– Ehi, amico mio – dice Pilucca – Finalmente! Allora... che ne dici di vederci questa sera per una delle nostre cene?

– No, no. Oggi no... mi dispiace, ma...

– Come no? Non hai più voglia di divertirti con noi? Ti piace la vita solitaria della campagna?

– Io... – Guasparri non sa cosa dire. In realtà ha una voglia matta di partecipare di nuovo a quelle cene così divertenti.

– Allora....?

– Beh, ecco, quello che voglio dire... è che... io.... io... voglio ancora venire alle cene, ma... non porto più il vino. Non gratis insomma.

– Ah.... e perché?

Guasparri racconta quello che ha saputo dallo zio.

– Che sciocchezze! – dice Pilucca ridendo – Sei preoccupato per questo? Vieni pure alle nostre cene. Dividiamo le spese del vino come facciamo con il cibo.

In realtà Pilucca pensa – Vieni pure, povero scemo.... alla fine riusciamo sempre a scroccarti il vino.

Guasparri accetta l’invito ed è molto sollevato. La sera va a cena con tutti gli altri. Questi sono già informati sulla decisione di Gasparri di non offrire più il vino. Durante la cena gli amici sperano di far cambiare idea a Guasparri con complimenti e lusinghe. Questo però rimane fermo sulla sua decisione. Così anche durante le cene successive il vino viene pagato da tutti.

Una sera, quando Guasparri torna a casa prima degli altri, Zoroastro dice – possibile che non riusciamo a scroccare il vino a quel povero scemo di Guasparri.

– Zoroastro ha ragione – interviene Scheggia. – finché offre il vino possiamo sopportarlo, ma adesso...

A un certo punto Monaco dice – Se non possiamo avere il vino, possiamo almeno avere qualche soldo come ricompensa.

– In che modo? – chiede Scheggia.

– Una beffa[9], – risponde ancora Monaco, – una bella beffa.

– Bravo Monaco! – esclama Pilucca. – Possiamo organizzare una di quelle beffe che si ricordano per tutta la vita. Io ho qualche piccola idea a riguardo.

– Cioè? – domanda Zoroastro.

– Sappiamo che il nostro amico ha una grande paura dei morti e degli spiriti. Ebbene, ascoltate un po’.... – Pilucca spiega il piano agli amici.

Nel piano vengono coinvolti anche alcuni amici di Scheggia, un certo Meino, vicino di casa di Guasparri che porta altri due compagni che partecipano alla beffa.

Arriva il giorno della beffa. Ma quella sera, dopo un’abbondante cena e molto vino, gli amici insistono più del solito a parlare di streghe, diavoli e spiriti. Dopo mezzanotte Zoroastro propone di giocare ai tarocchi. Sanno che Guasparri detesta quel gioco. Lui rimane qualche minuto a guardare gli altri giocare, ma poi decide di andare via. Appena Guasparri esce di casa, Scheggia esce anche lui e prende un’altra strada. Corre fino al Ponte alla Carraia dove Guasparri deve passare e si nasconde dietro una chiesa. Sotto il ponte ci sono i due compagni di Meino che aspettano il suo segnale.

Ognuno ha un fantoccio fatto con una picca molto lunga. All’estremità della picca[10] c’è un bastone di traverso, in modo da formare una specie di croce. La picca è ricoperta con un lunghissimo lenzuolo bianco. In cima alla picca c’è una maschera terrificante. Sotto la maschera c’è una lucerna che fa uscire dalla bocca e dagli occhi  una orribile luce verde. Denti lunghi e radi, naso schiacciato, mento aguzzo e una parrucca nera e arruffata.

Guasparri, mentre cammina, ripensa a tutti i discorsi sui diavoli e le streghe. Si guarda intorno impaurito. Quando arriva sul ponte, Scheggia fa un fischio. È il segnale per i suoi compagni. Questi lentamente alzano i bastoni e Guasparri vede quell’orrenda apparizione. Rimane completamente paralizzato e riesce solo a dire – Cristo aiutami! E siccome quei diavoli diventano sempre più alti e più vicini, grida ancora più forte – Cristo aiutami! – e corre via più veloce del vento. Non si ferma fino a casa di Pilucca, dove bussa alla porta come un forsennato[11]. Quando entra in casa, per la paura e la furia del correre, il pover’uomo è senza fiato e si siede su una panca senza riuscire a dire una parola.

Nel frattempo Scheggia dice ai suoi compagni di andare a casa di Gasparri per completare il piano. Guasparri riprende un po’ di fiato e racconta ai suoi amici tutte le cose terribili che ha visto.

– Ma dai Guasparri. Che frottole racconti? Vuoi prenderci in giro? – dice Pilucca facendo finta di non credere al suo racconto.

– Ma no. Vi giuro che è la verità. Appena arrivato sul ponte ho visto due demoni dell’inferno alzarsi dal fiume. Con occhi e bocca di fuoco verde e denti spaventosi.

Intanto Scheggia, arrivato anche lui, fa finta di venire da un’altra stanza. Si mette a ridere e dice – Suvvia amico mio. Diavoli... occhi di fuoco... ma che vai dicendo?

– Se non mi credete venite a vedere con i vostri occhi.

Gli amici escono con lui e quando giungono sul ponte, guardano e riguardano senza vedere niente.

– Mi sembra impossibile. – dice Guasparri – eppure vi giuro che li ho visti proprio qui, bianchi come la neve, con gli occhi di fuoco, con certi dentacci, mille volte più brutti di un orco.

– Guasparri, tu hai bevuto troppo. Basta con questi scherzi. – dice Zoroastro e insieme agli altri tornano a casa a giocare ai tarocchi, facendo finta di essere arrabbiati.

Guasparri rimane solo sul ponte. Vede una guardia che cammina nella direzione della sua casa. Corre verso la guardia e cammina insieme a questa per sentirsi al sicuro. Giunge verso casa, ancora impaurito pensa di andare da un suo parente per passare la notte. Infine si fa coraggio ed entra in casa. Al buio si dirige verso la stanza da letto.

I due compagni dello scheggia hanno però preparato la stanza da letto. Le pareti sono rivestite di tessuto nero. Ci sono appesi diversi quadri che si usano il giorno dei morti, con croci, ossa e teschi. Intorno a tutta la stanza ci sono centinaia di candeline accese. Sul pavimento c’è un tappeto steso con sopra un uomo vestito tutto di bianco, con una tonaca e un cappuccio come un flagellante[12]. Ha le braccia incrociate sul petto come un morto. Vicino al capo un crocifisso e due candele accese. Tutt’intorno fiori e foglie di arancio dolce.

Quando Guasparri apre l’uscio della stanza da letto e vede la luce sinistra delle candele, ossa e teschi, il morto sul pavimento, viene preso da una tale paura che cade con le ginocchia per terra e non riesce a dire più una parola. Poi di colpo di alza in piedi e senza chiudere la porta comincia a correre come un lampo. E pensando a morti, spiriti, diavoli e streghe, corre con tutte le sue forze senza mai fermarsi fino alla casa di Pilucca.

Nel frattempo Meino e i suoi compagni tolgono tutti i lumicini, le tele, il tappeto, il crocifisso e le candele e lasciano la casa come prima. Guasparri bussa sulla porta di Pilucca come un matto. Pilucca apre – Ehi Guasparri. Ancora con qualche scherzo. Non hai finito per oggi?

– Pilucca e voi miei fratelli. Aiutatemi per l’amor di Dio. Ho la casa tutta piena di spiriti e di morti. Dentro c’è tutto l’inferno. – e Guasparri racconta quello che ha visto.

Zoroastro interviene seccato – È ora di finirla. Sei venuto di nuovo qui per un’altra beffa. Ma adesso non ti crediamo più.

Guasparri, tutto tremante e impaurito, giura di dire il vero e prega gli amici di andare con lui per aiutarlo.

– Guasparri mio. Non c’è dubbio che sai fingere così bene da ingannare chiunque. Ma poco fa ti sei già burlato di noi. Adesso non possiamo più credere a quello che dici. – esclama Zoroastro

– Vi giuro sul mio corpo e sul mio sangue. Questa è la pura verità e mi devono cavare gli occhi se mento.

– Cavarti gli occhi non serve a niente – continua Zoroastro – se dobbiamo venire con te dammi in pegno il rubino che hai al dito. Se le cose stanno come tu dici e in camera tua ci sono i morti, i lumicini e tutto il resto, ti restituisco il rubino con piacere. Ma se in casa tua, come sul Ponte alla Carraia, non c’è niente, il rubino resta a noi. Tieni pure i tuoi occhi, che sono una merce troppo preziosa da rischiare per così poco.

Guasparri accetta e consegna l’anello a Zoroastro. Poi s’incamminano tutti verso la sua casa. Quando arrivano, Guasparri impaurito dice al Pilucca – io ho paura di entrare. Vai avanti tu.

Monaco ha una lanterna accesa e va avanti per primo – Su.... venite dietro di me. – mentre Guasparri tremante si mette dietro tutti.

Quando aprono la porta e vedono tutto in ordine. Zoroastro ride e dice – Guasparri. Guarda qua. Dove sono i lumicini, i morti, gli spiriti e i diavoli?

Guasparri rimane attonito e stupefatto. Non sa più cosa ha visto o creduto di vedere. O forse è stato solo un sogno. Rimane senza parole. Non sa cosa dire o cosa rispondere agli altri che lo prendono in giro – Hai voluto fare un scherzo per ridere di noi con tutta Firenze? Ma adesso l’anello di rubino è nostro e, se questo anello non è falso, il beffato sei tu.

Guasparri prega i suoi amici di non raccontare questa storia e in cambio propone di ricomprare l’anello per 25 fiorini. L’idea piace agli amici che accettano. Poi, siccome ha paura di dormire da solo, Scheggia rimane con lui mentre gli altri tornano a casa. Per tutta la notte non chiude occhio, perché pensa continuamente a quello che ha visto.

Il giorno dopo ritorna dalla moglie in campagna, ma dopo qualche tempo, per lo spavento e la paura, si ammala gravemente. Rimane a letto per un mese prima di riprendersi. Quando torna a Firenze vende la casa indemoniata e ne compra un’altra. Riprende a frequentare i suoi amici, ma dopo poco tempo questi organizzano un’altra beffa a suo danno. Un giorno incontra di nuovo suo zio Damiano che gli racconta come sono stati proprio i suoi amici a organizzare tutte le beffe crudeli contro di lui.

Allora da quel giorno Guasparri cessa di frequentare i suoi amici e si ritira ad una vita moderata e serena con la sua famiglia.

 

[1] podere: casa di campagna con terreno destinato all’agricoltura.

[2] lestofante: imbroglione, persona senza scrupoli che tende a ingannare.

[3] estasiato: incantato, rapito da un’intensa emozione.

[4] inebriato: in uno stato di piacevole stordimento.

[5] pergola: una copertura realizzata soprattutto con piante di uva. (vedi immagine)

[6] ridere sotto i baffi: accennare un sorriso di compiacimento, senza farsi notare.

[7] acciacchi: dolori fisici, non gravi ma continui, soprattutto dovuti all’età avanzata.

[8] scroccone: persona che approfitta troppo della generosità degli altri.

[9] beffa: un inganno organizzato nei confronti di qualcuno, di solito per prenderlo in giro. In questo caso l’obiettivo è quello di derubarlo.

[10] picca: lunga asta di legno con un’estremità appuntita.

[11] forsennato: pazzo furioso, violentemente agitato.

[12] flagellante: religioso che per penitenza si frusta il corpo. Vedi immagine.