Racconto tratto dalla raccolta «Trecento novelle» di Franco Sacchetti (1335-1400). Riscritto in italiano semplificato e adattato a studenti di livello intermedio (B1-B2)

 

Messer Bernabò, signore di Milano, un giorno affida ad un ricco abate[1] i suoi due cani alani. Quando li chiede indietro, si accorge che i cani sono diventati aggressivi. Accusa l’abate di negligenza è chiede un risarcimento di 4.000 fiorini. Una cifra enorme che l’abate, pur essendo ricco, non può pagare. Afflitto da questa accusa, l’abate giura di non aver mai trascurato i cani e non sa quali siano le ragioni di tutto questo, e in ginocchio supplica il gentiluomo di perdonarlo.

Il signore, dopo aver ascoltato le ragioni dell’abate, sembra ben disposto nei suoi confronti e decide di dargli un’occasione di riscatto: – Ti perdonerò tutto se tu, con la tua fede in Dio e la tua conoscenza, mi chiarisci quattro cose, alle quali penso spesso, ma non riesco a trovare una risposta.

L’abate, confortato da questa inattesa e piacevole proposta, risponde: – Ma certo, messere. Chiedetemi qualunque chiarimento, ed io farò tutto il possibile per soddisfarvi.

– Bene. Voglio sapere le seguenti cose: Quanto è lontano il cielo? Quanta acqua c’è nel mare? Cosa si fa nell’inferno? Quanto vale la mia persona?

L’abate, udito questo, dopo aver per un attimo sperato nella buona sorte, ritorna ancora più afflitto di prima e comincia a sospirare. Come si può rispondere a domande del genere? Conosce la crudeltà del signore e ha l’impressione che gli abbia preparato una trappola per punirlo ancora più ferocemente. Si sente in una situazione più difficile e pericolosa di prima.

Dopo qualche attimo di smarrimento l’abate balbetta – Quanto... quanto tempo ho per rispondere... per rispondere  a queste domande?

– Domani sera torna con le risposte.

L’abate pensoso e rattristato torna al convento, sbuffando come un cavallo.

Incontra il mugnaio che, vedendolo così afflitto e tormentato, gli chiede: – Signore mio, cosa avete da soffiare così forte?

– Ho le mie buone ragioni. Messer Bernabò mi punirà se non riesco a chiarire quattro cose, che neanche Salomone o Aristotele conoscono. – risponde l’abate.

– E quali sono queste cose?

L’abate allora racconta al mugnaio esattamente quanto accaduto.

Il mugnaio, dopo aver pensato per qualche istante, dice – Signore mio, è un grande dispiacere per me vedervi così afflitto. Ma se voi volete, io credo di potervi aiutare a togliervi questo peso dal cuore.

– Magari! Se Dio lo volesse. Se riesci a far questo, potrai chiedermi qualunque cosa. Ma come puoi riuscirci? Mi sembra impossibile. A cosa stai pensando?

– Ho in mente questo. Domani indosso la vostra tonaca e la vostra cappa, mi rado la barba e mi presento davanti a messere Bernabò dicendo di essere io l’abate. Credo di sapere come rispondere alle sue domande per farlo contento.

Il giorno dopo, il mugnaio, travestito da abate, si mette in cammino di buon ora e raggiunge la dimora del signore di Milano. Questo, lo fa entrare subito, curioso di vedere l’abate ritornato così presto e ansioso di sentire le risposte.

– Allora abate, hai trovato le risposte alle quattro cose che ti ho domandato?

– Certo signore. Mi avete domandato quanto è lontano il cielo. Il cielo è lontano esattamente trentasei milioni e ottento cinquantaquattro mila e settantadue miglia e mezzo e ventidue passi.

– L’hai misurato con cura. Come fai a provare tutto questo?

– Fatelo misurare anche voi, e se non è così, appendetemi per collo. Secondo mi avete domandato quanta acqua c’è in mare. Ho visto che nel mare ci sono venticinque mila e novecento ottantaduemilioni di cogni[2] e sette barili e dodici boccali[3]

– E come lo sai? – dice il signore.

– L’ho misurato meglio che potevo. Se non mi credete, fatelo misurare con dei barili, e se non è vero, fatemi squartare. Terzo mi avete domandato cosa si fa all’inferno. All’inferno si taglia, si squarta, si tortura e si impicca, più o meno tutto quello che voi fate qui.

– Come puoi giustificare quello che dici?

– Una volta ho parlato con un uomo che era stato all’inferno e ritornato. Lui mi ha raccontato tutto quello che aveva visto. Da quest’uomo anche Dante ha saputo tutto ciò che ha scritto sull’inferno. Se non mi credete, mandate qualcuno a cercarlo. Quarto mi avete domandato quanto vale la vostra persona. Io dico che vale esattamente ventinove danari.

Quando il signore sente questo, diventa furioso e urla:

– Ma che ti venga un colpo! Sono di così poco conto da valere quanto una pignatta[4]?

– Signore mio. Ascoltate prima la ragione. Voi sapete che il nostro Signore Gesù Cristo fu venduto per trenta danari. Voi siete l’uomo di maggiore valore sulla terra, e siccome non potete valere quanto nostro Signore Gesù Cristo, credo che ventinove danari sia il prezzo giusto.

Udito questo, messere Bernabò si rende conto che l’uomo di fronte ha troppo ingegno per essere l’abate.

Lo guarda con attenzione e dice: – Tu non sei l’abate.

Il mugnaio si impaurisce a tal punto che si inginocchia e a mani giunte chiede misericordia. Racconta tutto l’inganno, dice di essere il mugnaio e aver preso il posto dell’abate con il suo consenso. Ma lo ha fatto solo per dargli piacere e soddisfare le sue domande, non per malizia.

– Suvvia! – dice il signore divertito – siccome lui ti ha fatto abate, io comando che da oggi tu sarai l’abate e avrai la rendita del convento. Lui invece farà il mugnaio e avrà la rendita del mulino.

E così per il resto della loro vita, il mugnaio ha fatto l’abate, e l’abate ha fatto il mugnaio.

Presentarsi davanti a un signore potente, così come ha fatto questo mugnaio con il suo ardire, è una cosa molto pericolosa. È come andare nel mare, dove l’uomo trova grandi pericoli, ma può trovare anche grandi guadagni. Un mare in bonaccia offre grandi vantaggi, allo stesso modo di un signore quando di buon umore. Ma non bisogna mai fidarsi né dell’uno, né dell’altro, poiché la fortuna facilmente cambia.

 

 

[1] abate: il superiore di un convento di monaci.

[2] cogno: unità di misura capacità. Il cogno fiorentino corrisponde a 10 barili o 450 litri.

[3] boccale: circa 2 litri.

[4] pignatta: pentola di terracotta.