Racconto di Igino Ugo Tarchetti (1839-1869), scritto in italiano semplificato e adattato a studenti di livello intermedio (B2-C1)
U! U!
Ho scritto io questa lettera terribile? Questa vocale spaventosa, il cui suono mi fa rabbrividire, la cui vista mi riempie di terrore?
Sì, l’ho scritta io.
Ed eccovela ancora:
U
Eccola un’altra volta
U
Guardatela. Fissatela bene. Non tremate, non impallidite. Abbiate il coraggio di osservare tutte le parti, di esaminare tutti i dettagli, di vincere tutto l’orrore che v’ispira.... Questa U!... questo segno fatale, questa lettera abominevole, questa vocale tremenda!
Chi di voi non l’ha vista, non l’ha scritta, non l’ha pronunciata mille volte?
Lo so; ma io vi domanderò: chi di voi l’ha esaminata? Chi l’ha analizzata, chi ne ha studiato la forma, l’espressione, l’influenza? Chi ne ha fatto l’oggetto delle sue indagini, delle sue occupazioni, delle sue notti insonni? Chi vi ha posato sopra il suo pensiero per tutti gli anni della sua vita?
Perché.... voi vedete solo una lettera mite, innocua come le altre.
Perchè l’abitudine vi ha resi indifferenti.
Perchè la vostra apatia non vi ha consentito di studiarla accuratamente.
Ma non sapete ciò che io vedo in questa vocale!
Ma ora guardatela bene, guardatela attentamente, spassionatamente, fissi!
U
Quella linea che si curva.
Quelle due punte che vi guardano immobili, che si guardano immobili.
Quelle delle due lineette che troncano inesorabilmente le cime.
Quell’arco inferiore, sul quale la lettera oscilla e si dondola sogghignando.
Quel vuoto all’interno, quell’orribile vuoto che si affaccia dall’apertura delle due aste e si perde nell’infinità dello spazio....
Ma questo non basta.
Vi scrivo qui le vocali.
Ecco.
a e i o u
Le vedete? Sono queste?
a e i o u
Ebbene?!
Sentiamone ora il suono.
A. – aaahhh - L’espressione della sincerità, della schiettezza, d’una dolce sorpresa.
E – eeehhh - La gentilezza, la tenerezza espressa tutta in un suono.
I – iiihhh - Che gioia! Che gioia viva e profonda!
O – ooohhh - Che sorpresa! Che meraviglia! Ma che sorpresa piacevole!
Sentite ora l’U. Pronunciatela. Tiratela fuori dai ricordi più profondi, ma pronunciatela bene:
U! uh!! uhh!!! uhhh!!!!
Non rabbrividite? Non tremate a questo suono? Non vi sentite il ruggito della fiera, il lamento che emette il dolore, tutte le voci della natura sofferente e agitata? Non capite che vi è qualche cosa d’infernale, di profondo, di tenebroso in quel suono?
Dio! Che lettera terribile! Che vocale spaventosa!!
Vi voglio raccontare la mia vita. In che modo questa lettera mi ha trascinato verso una pena infamante e immeritata.
Sono nato predestinato. Una terribile condanna pesa sopra di me fino dal primo giorno della mia esistenza: il mio nome contiene una U. Da ciò tutte le sventure della mia vita.
A sette anni ho iniziato la scuola.
Istintivamente, dal primo momento, non riuscivo ad imparare questa lettera. Ogni volta che leggevo, improvvisamente mi bloccavo davanti all’U. Mi prendeva un panico indescrivibile e non riuscivo a pronunciarla.
Scriverla? Ancora peggio. La mia mano, fluida nello scrivere tutte le altre lettere, diventava rigida e tremante appena tentavo di scrivere l’U.
A volte facevo le aste troppo convergenti, altre troppo divergenti; a volte facevo una V diritta, altre una V capovolta; non riuscivo in nessun modo a tracciare la curva. Il maestro mi dava la bacchetta sulle dita e io piangevo.
A dodici anni, un giorno ho visto sulla lavagna una U enorme. Quella vocale era lì che mi fissava e mi sfidava. Non so quale coraggio mi è nato all’improvviso nel cuore. Ma il tempo della verità era giunto. Io e quella lettera eravamo nemici e ho accettato la sfida. Sono rimasto per alcune ore a osservarla e in quel momento ho capito tutto e ho dichiarato una guerra mortale a quella lettera.
Ho cominciato a cancellare tutte le U che vedevo nei libri dei miei compagni. Era solo il principio della mia vendetta. Sono stato cacciato dalla scuola.
Qualche tempo dopo sono rientrato a scuola. Il mio maestro si chiamava Aurelio Tubuni. Tre U!! Lo odiavo per questo. Un giorno ho scritto sulla lavagna: «Morte all’U!». Il maestro ha pensato che quella minaccia fosse rivolta a lui. Sono stato ricacciato.
Sono riuscito a ritornare a scuola una terza volta. Un giorno ho presentato, come lavoro di esame, un progetto per l’abolizione di questa vocale, e la sua espulsione dalle lettere dell’alfabeto.
Non sono stato capito. Mi hanno dato del pazzo. I miei compagni hanno iniziato contro di me una guerra terribile. Scrivevano delle U da tutte le parti: sui miei libri, sui quaderni, sulle pareti, sui banchi. Non sapevo come difendermi da questa persecuzione sanguinosa e atroce.
Un giorno ho trovato nella mia tasca una cartolina, su cui c’era una lunga fila di U in questo modo infernale, così:
Sono diventato furioso! La vista di tutte le U disposte con quella gradazione tremenda, mi ha sconvolto. Ho sentito il sangue salire alla testa, la mia ragione oscurarsi.... Sono andato di corsa a scuola e ho afferrato alla gola uno dei miei compagni. L’avrei soffocato se gli altri non fossero intervenuti.
Questa è stata la prima colpa in cui mi ha trascinato quella vocale!
Mi hanno cacciato dalla scuola per sempre.
Allora ho incominciato a vivere da solo, a pensare, a meditare, ad operare da solo. Sono entrato in una nuova sfera di osservazioni, in una sfera più elevata, più attiva. Ho studiato i rapporti che questa lettera fatale ha con i destini dell'umanità; ho scoperto tutte le cause, ho indovinato tutte le leggi; e ho scritto ed elaborato, in cinque lunghi anni di fatica, un lavoro voluminoso, dove ho dimostrato come le sciagure degli uomini sono causate dall’esistenza dell’U, e dall’uso che ne facciamo nella scrittura e nel linguaggio. Ho fornito tutte le soluzioni per sopprimere, rimediare e prevenire i mali che ne derivano.
Lo credereste? Non sono riuscito a pubblicare la mia opera. La società ha rifiutato l’unico rimedio in grado di guarirla.
A venti anni mi sono follemente innamorato di una fanciulla, e anche lei di me. Era divinamente buona, divinamente bella: ci siamo innamorati al primo sguardo; e quando ho potuto parlarle, le ho chiesto:
-Come vi chiamate?
-Ulrica!
-Ulrica! U. Una U! Era una cosa orribile. Come sopportare la violenza atroce, continua di quella vocale? Il mio amore era tutto per me, ma ho trovato la forza di rinunziarvi. Ho abbandonato Ulrica.
Ho tentato di guarirmi con l’affetto di un altra fanciulla. Quando ho saputo che si chiamava Giulia, l’ho lasciata perdere.
Ho avuto un terzo amore. Mi sono prima informato del suo nome. Si chiamava Annetta. Finalmente! Ho potuto abbandonarmi all'amore.
Abbiamo fatto tutti i preparativi per le nozze. Tutto era combinato, stabilito. Quando ho visto il suo certificato di nascita, ho scoperto con orrore che il nome di Annetta era un vezzeggiativo, un abbreviativo di Susanna, Susannetta. Ma non basta. Oltre a ciò – inorridite pure - aveva cinque altri nomi di battesimo: Postumia, Uria, Umberta, Giuditta e Lucia.
Ho strappato all’istante il contratto di matrimonio, rinfacciando a quel mostro di perfidia il suo tradimento feroce, e mi sono allontanato per sempre da quella casa. Il cielo mi aveva salvato ancora una volta.
Ma ohimè, non riuscivo più ad amare. Il mio affetto era esaurito, debilitato da tutte quelle esperienze terribili. Il caso mi ha fatto incontrare di nuovo Ulrica. Il ricordo del primo amore si è risvegliato, e la passione si è riaccesa. Volevo rinunciare al suo affetto ma non ho avuto più la forza. Ci siamo sposati.
Da quel momento è iniziata la mia lotta.
Non potevo tollerare la U nel suo nome. Mia moglie, la mia compagna, da donna amata da me... con una U nel suo nome!
Un giorno le ho detto:
– Mia cara, vedi questa U quanto è terribile. Devi assolutamente cambiare il tuo nome!
Ma lei non ha risposto e ha sorriso.
Un’altra volta le ho detto:
– Ulrica, il tuo nome non riesco a sopportarlo... mi fa male... mi uccide. Cambia nome.
Ma lei sorrideva. L’ingrata sorrideva.
Una notte ho avuto un incubo terribile: una U gigantesca si era messa sul mio petto e mi abbracciava con le sue lunghe aste, flessuose... mi accarezzava... mi stringeva...
Sono balzato fuori dal letto e sono andato di corsa dal notaio.
– Venite con me all’istante, a scrivere un documento di rinuncia...
Quel miserabile non voleva. L'ho afferrato per un braccio e l’ho trascinato fino al letto di mia moglie.
Lei dormiva. L’ho svegliata e le ho detto:
– Ulrica, rinuncia al tuo nome. Rinuncia all’U detestabile del tuo nome.
Mia moglie mi guardava sbigottita in silenzio.
– Rinuncia – ho ripetuto con voce terribile, – rinuncia a quella U... rinuncia all’abominevole nome.
Ma lei continuava a guardarmi in silenzio.
Il suo silenzio, il suo rifiuto mi hanno fatto perdere il senno: mi sono avventato sopra di lei, picchiandola con il mio bastone.
Mi hanno arrestato e processato. I giudici mi hanno fatto rinchiudere in questo ospizio per pazzi. Io pazzo! Sciagurati! Pazzo perché ho scoperto il segreto dei loro destini? Perché ho tentato di migliorarli? Ingrati!
Sì, io sento che questa ingratitudine mi ucciderà: lasciato qui solo, inerme! Faccia a faccia col mio nemico, con questa U detestata che io vedo ogni ora, ogni istante, nel sonno, nella veglia, in tutti gli oggetti che mi circondano, sento che presto sarò sconfitto. E così sia. Non temo la morte: metterà fine a tutti i miei mali.
Avrei voluto aiutare l’umanità, convincerla a sopprimere quella vocale. Ma il destino ha stabilito diversamente! Forse la mia sventura sarà un utile insegnamento per gli uomini; forse il mio esempio li spronerà ad imitarmi....
Lo spero davvero! Spero davvero che la mia morte preceda di pochi giorni l’epoca della loro grande liberazione, la liberazione dalla U, la liberazione da questa terribile vocale!!!
***
L’infelice che ha scritto queste righe, è morto nel manicomio di Milano l’11 settembre 1865.