Racconto  di Igino Ugo Tarchetti (1839-1869), scritto in italiano semplificato e adattato a studenti di livello intermedio (B2-C1)

 

Nel 1855 mi sono trasferito a Pavia. Mi hanno offerto un lavoro come insegnante di disegno in una scuola privata di quella città.

Dopo alcuni mesi di soggiorno ho conosciuto un certo Federico M., professore universitario di patologia e di clinica. Era un uomo molto appassionato di scienze, aveva doti di intelligenza al di fuori del comune, però, come tutti gli anatomisti e i clinici in genere, era profondamente scettico per convinzione. Non sono mai riuscito a convincerlo delle mie credenze, nonostante le lunghissime e appassionate discussioni che avevamo ogni giorno. Però è giusto dire che si è sempre mostrato tollerante e rispettoso nei confronti delle mie convinzioni.

Una volta mi ha consigliato di assistere alle sue lezioni di anatomia, sostenendo che ne avrei avuto vantaggio nella mia arte del disegno. Ho accettato con una certa ripugnanza, e per sembrare meno pauroso di quanto non lo fossi, gli ho chiesto alcune ossa umane che ho collocato sul caminetto della mia stanza.

Purtroppo dopo pochi giorni è morto a causa di un ictus e io non ho più frequentato i suoi corsi di anatomia. Tuttavia ho conservato quelle ossa per molti anni, fino a pochi mesi fa, quando colto da un’improvvisa paura, ho deciso di seppellirle.

Ho tenuto solo una rotella di ginocchio, un ossicino sferico e liscio, che per la sua forma e le sue dimensioni, non mi ha mai evocato paure. Da undici anni è sulla mia scrivania e lo uso come fermacarte.

A Milano vengo a conoscenza di un ipnotista assai noto tra gli amatori di spiritismo, e chiedo di partecipare a una delle sue sedute spiritiche. Quando ricevo l’invito a recarmi, vado da lui, ma con presentimenti così tristi, che più volte lungo la strada sono stato tentato di rinunciare. Durante la seduta rimango molto stupito dalle risposte degli spiriti invocati e, superato ogni timore, gli dico che desidero anch’io invocare uno spirito di mia conoscenza. Vengo accompagnato in uno stanzino appartato e lasciato solo.

Mi viene in mente di invocare il dottore Federico M., con il quale ho avuto delle vivaci discussioni sulla spiritualità della nostra natura. Mi siedo a un tavolino con un foglio di carta, penna e calamaio e mi concentro il più possibile sulla mia forza di volontà, aspettando lo spirito del dottore.

Non aspetto a lungo. Sensazioni nuove inspiegabili mi dicono che non sono più solo nella stanza. Sento la sua presenza e la mia mano diventa agitata a convulsa, mossa da una forza estranea, scrive queste parole:

– Sono qui da voi. Mi avete chiamato in un momento in cui ho degli impegni più urgenti. Non posso trattenermi a lungo e neanche rispondere alle vostre domande. Tuttavia ho deciso di venire non solo per compiacervi, ma anche perché ho bisogno del vostro aiuto. Durante la mia vita mortale vi ho dato delle ossa che avevo preso al gabinetto anatomico di Pavia. Fra queste c’è anche una rotella di ginocchio che apparteneva al corpo di un ex inserviente[1] dell’Università che si chiamava Pietro Mariani. Sono undici anni che mi tormenta per riavere indietro quell’ossicino insignificante. Se avete un buon ricordo di me, e conservate ancora quella rotella, vi scongiuro di restituirla al proprietario e liberarmi da questo debito che mi tormenta.  Faccio venire qui lo spirito del Mariani. Rispondete.

Gli rispondo che conservo ancora quella rotella, e che sono felice di poterla restituire. Appena detto questo, mi sento più leggero, il mio braccio diventa di nuovo libero, la mano sciolta, e capisco che lo spirito del dottore è partito.

Nel giro di pochi minuti, avverto gli stessi fenomeni di prima, e la mia mano inizia a scrivere altre parole:

– Sono lo spirito di Pietro Mariani e reclamo la rotella del mio ginocchio sinistro che indebitamente[2] trattenete da undici anni. Rispondete.

Questo linguaggio è più conciso[3] e energico di quello del dottore.

Allora rispondo: – Sono disposto a restituire la rotella del vostro ginocchio sinistro e vi prego di perdonarmi per averla trattenuta illecitamente. Desidero sapere come posso effettuare la restituzione richiesta.

– Verrò io stesso a riprenderla.

– Quando? – chiedo io atterrito.

– Stanotte.

 

 

Impaurito da questa notizia, ricoperto di un sudore freddo, ma affretto ad esclamare: – Per carità... vi scongiuro... non vi disturbate... sicuramente ci sono altri mezzi meno scomodi...

Ma prima di finire la frase mi accorgo che lo spirito di Mariani è già lontano, e non c’è più mezzo di impedire il suo arrivo.

È impossibile descrivere con le parole l’angoscia delle sensazioni che provo. Esco da quella casa mentre gli orologi della città suonano la mezzanotte: le vie sono deserte, le luci delle finestre sono spente, le fiammelle dei lampioni offuscate da una nebbia pesante. Cammino per un bel pezzo senza una meta precisa. Chi ha il coraggio di tornare a casa? L’idea di ricevere la visita di uno spettro è un’idea troppo terrificante.

Per caso vedo una bettola[4] con un’insegna «Vini nazionali». Qualche bicchiere di vino può aiutarmi a farmi coraggio. Entro e mi siedo in un angolo di una stanza sotterranea, chiedendo una bottiglia di vino. Dopo un po’ ottengo l’effetto desiderato. Ad ogni bicchiere di vino bevuto la mia paura svanisce sensibilmente, e a poco a poco riacquisto il coraggio, finché mi alzo e mi avvio con decisione verso casa.

Giunto a casa, un po’ barcollante per il troppo vino bevuto, accendo il lume, mi spoglio e mi infilo nel letto, cercando di addormentarmi. Ma non ci riesco. Mi sento rigido, catalettico, immobilizzato. In quello stordimento vedo strani fenomeni intorno a me. Dalla candela, che mi sembrava di aver spento, si sollevano spire di fumo fitte e nere, che si raccolgono sotto il soffitto e formano una cappa nera di piombo. L’aria nella stanza è diventata di colpo soffocante, con un odore di carne abbrustolita. Sento un brontolio incessante e vedo la rotella sulla superficie del tavolo che sembra muoversi, come in preda a convulsioni.

Rimango in quello stato non so quanto tempo fino a che, d’un tratto, il fumo si disperde e compare il fantasma atteso. Si avvicina fino a metà della stanza, si inchina cortesemente e mi dice: – Sono Pietro Mariani, e voglio riprendere la mia rotella.

Il terrore mi impedisce di rispondergli e lui continua: – Perdonatemi se ho dovuto disturbarvi in piena notte... capisco che è un’ora incomoda... ma...

– Oh! Di nulla, di nulla! – rispondo io rassicurato da tanta cortesia,  – vi ringrazio della vostra visita... e sarò sempre onorato di ricevervi nella mia casa....

– Ve ne sono grato, – dice lo spettro – ma vorrei spiegare l’insistenza con la quale ho reclamato la mia rotella sia presso di voi, sia presso l’egregio dottore. Osservate!

E così dicendo, solleva un lembo del lenzuolo bianco, in cui è avviluppato, e mi mostra lo stinco della gamba sinistra legato al femore con un nastro nero passato due o tre volte. Fa alcuni passi per la stanza per mostrarmi la difficoltà che ha nel camminare.

– Non sia mai che il degno ex inserviente dell’Università di Pavia rimanga zoppo per colpa mia. – gli dico con un tono mortificato – ecco la vostra rotella, là, sul tavolino, prendetela e mettetela al vostro ginocchio.

Lo spettro si inchina per la seconda volta in segno di ringraziamento, si slega il nastro nero che gli congiunge il femore allo stinco, lo posa sul tavolino e, presa la rotella, inizia ad adattarla alla gamba.

Mentre lo spettro è impegnato con difficoltà a rimettersi a posto l’osso, il silenzio mi sembra insopportabile e pur di conversare chiedo: – Cosa si racconta di bello nell’altro mondo?

Lui non risponde alla mia domanda, ed esclama con aspetto rattristato: – Questa rotella è deteriorata, non ne avete fatto un buon uso.

– Non credo. L’ho sempre trattata con rispetto e garbo. Forse le vostra ossa non sono più solide come un tempo.

Lui ancora una volta non risponde, ma si inchina un terza volta per salutarmi. Quando arriva all’uscio chiudendo la porta dietro di sè dice: – Sentite se le le mie ossa non sono più solide.

E pronunciando queste parole percuote il pavimento col piede con tanta violenza che le pareti tremano tutte. Quel rumore mi scuote e... mi sveglio.

– Mio Dio! – esclamo fregandomi gli occhi col rovescio della mano – era tutto un sogno. Solo un brutto sogno! Che spavento! Ma che stupido che sono... i fantasmi... lo spiritismo....

Mi alzo e mi infilo in fretta i calzoni. Ridendo ancora mi avvicino al tavolino a cercare il mio fermacarte.

Ma la rotella non c’è più. C’è solo un lungo nastro nero.

 

[1] inserviente: persona addetta ai lavori più umili e faticosi.

[2] indebitamente: senza averne il diritto

[3] linguaggio conciso: fatto di poche parole, precise ed efficaci, senza dilungarsi inutilmente.

[4] bettola: locale di bassa qualità dove si beve del vino.