Il ritorno al paese

Renzo esce dal Lazzaretto, con l'intento di ritornare il prima possibile al suo paese e poi ripartire subito dopo alla ricerca di Agnese. È talmente felice di aver ritrovato la sua amata che non si preoccupa del forte temporale che si è scatenato, né della stanchezza fisica. E sarebbe ancora più felice se sapesse che proprio la pioggia porterà via la peste, e di lì a pochi giorni la vita riprenderà il suo corso ordinario.

Il giovane cammina sguazzando allegramente sotto l'acqua e, ancora eccitato per tutte le emozioni vissute durante la giornata, cerca di mettere ordine ai suoi pensieri[1].

Non si ferma per tutta la notte, e alle prime luci dell'alba intravede le cime del Resegone e capisce di essere quasi arrivato a destinazione. Quando arriva al paese va direttamente a casa dell'amico che lo aveva ospitato l'ultima volta. L'ospite, quando lo vede bagnato fradicio, gli accende subito un fuoco per asciugarsi e va a prendere il fagotto di panni che gli aveva lasciato l'ultima volta. Poi mette a cuocere la polenta sul fuoco, e Renzo gli racconta degli orrori che ha visto per le strade di Milano e nel lazzaretto, e delle brutte avventure che ha subito. Però grazie a Dio ha ritrovato Lucia, sana e salva e che presto sarà sua moglie, quindi invita l'amico a fargli da testimone di nozze.

 

Renzo trova Agnese e poi va nel bergamasco a comprare casa

Il giorno dopo riparte alla volta di Pasturo per recarsi da Agnese, e che riesce a trovare viva e in buona salute. Il giovane non vuole entrare in casa perché ha paura di contagiare la donna che non ha avuto la peste, quindi non è immune. Agnese indica di raggiungerla in un orto dove ci sono due panche e possono parlare senza pericolo.

Manzoni fa notare che se un lettore, fosse stato presente a quella conversazione così animata, sarebbe stato l’ultimo a venir via. Ma riportare su carta la conversazione, con parole fatte d’inchiostro, senza riportare alcun fatto nuovo, non risulterebbe altrettanto interessante quanto immaginarsela da sé[2]. Comunque fa sapere ad Agnese, che una volta sposati vorrebbero trasferirsi nel bergamasco dove ha un lavoro già avviato. Prima di partire il giovane offre alla donna un po' di denaro, ma lei lo rifiuta dicendo di averne abbastanza.

Renzo riparte verso il paese dove trascorre un'altra notte a casa del suo amico, e subito dopo riparte per il bergamasco, da suo cugino Bortolo, che per fortuna è riuscito ad evitare il contagio. Il giovane compra una casa e l'arredamento, e poi riparte per il paese e pochi giorno dopo ci porta anche Agnese. I due riprendono una vita normale, mentre aspettano di essere raggiunti da Lucia. Renzo e don Abbondio si evitano, il primo per evitare di far innervosire il frate, e questi per non sentire parlare di matrimoni.

 

Lucia trascorre la quarantena in casa della mercantessa

Nel frattempo Lucia e la mercantessa si recano insieme a trascorrere la quarantena in casa della donna. Durante il soggiorno la ragazza prepara il suo corredo di nozze offerto dalla sua amica. La ragazza viene a sapere che Gertrude, accusata dei suoi misfatti, è stata arrestata e imprigionata in un monastero dove trascorre una vita di privazione per espiare e punire i suoi peccati. Lucia apprende anche della morte di padre Cristoforo, di donna Prassede e don Ferrante.

Il Manzoni si sofferma in particolare su don Ferrante, che sin dall'inizio, con sofisticati ragionamenti, nega la natura del contagio. Non può certo negare la mortalità e i segni del morbo, ma le cause le attribuisce ad una congiunzione sfavorevole egli astri, e nega ogni possibilità di trasmissione da un individuo all'altro. Di conseguenza a nulla servono le prescrizioni dei medici che raccomandano di evitare ogni contatto con i malati e i loro oggetti.  A causa di questa sua convinzione, ignora ogni precauzione, finché si contagia e muore[3].

 

 

Alcuni estratti significativi del capitolo 37

 

[1] Andava dunque il nostro viaggiatore allegramente, senza aver disegnato nè dove, nè come, nè quando, nè se avesse da fermarsi la notte, premuroso soltanto di portarsi avanti, d’arrivar presto al suo paese, di trovar con chi parlare, a chi raccontare, soprattutto di poter presto rimettersi in cammino per Pasturo, in cerca d’Agnese. Andava, con la mente tutta sottosopra dalle cose di quel giorno; ma di sotto le miserie, gli orrori, i pericoli, veniva sempre a galla un pensierino: l’ho trovata; è guarita; è mia! E allora faceva uno sgambetto, e con ciò dava un’annaffiata all’intorno, come un can barbone uscito dall’acqua; qualche volta si contentava d’una fregatina di mani; e avanti, con più ardore di prima.

 

[2] Renzo andò a mettersi a sedere sur una: un momento dopo, Agnese si trovò lì sull’altra: e son certo che, se il lettore, informato come è delle cose antecedenti, avesse potuto trovarsi lì in terzo, a veder con gli occhi quella conversazione così animata, a sentir con gli orecchi que’ racconti, quelle domande, quelle spiegazioni, quell’esclamare, quel condolersi, quel rallegrarsi, e don Rodrigo, e il padre Cristoforo, e tutto il resto, e quelle descrizioni dell’avvenire, chiare e positive come quelle del passato, son certo, dico, che ci avrebbe preso gusto, e sarebbe stato l’ultimo a venir via. Ma d’averla sulla carta tutta quella conversazione, con parole mute, fatte d’inchiostro, e senza trovarci un solo fatto nuovo, son di parere che non se ne curi molto, e che gli piaccia più d’indovinarla da sè.

 

[3] “La c’è pur troppo la vera cagione,” diceva; “e son costretti a riconoscerla anche quelli che sostengono poi quell’altra così in aria... La neghino un poco, se possono, quella fatale congiunzione di Saturno con Giove. E quando mai s’è sentito dire che l’influenze si propaghino...? E lor signori mi vorranno negar l’influenze? Mi negheranno che ci sian degli astri? O mi vorranno dire che stian lassù a far nulla, come tante capocchie di spilli ficcati in un guancialino?... Ma quel che non mi può entrare, è di questi signori medici; confessare che ci troviamo sotto una congiunzione così maligna, e poi venirci a dire, con faccia tosta: non toccate qui, non toccate là, e sarete sicuri! Come se questo schivare il contatto materiale de’ corpi terreni, potesse impedir l’effetto virtuale de’ corpi celesti! E tanto affannarsi a bruciar de’ cenci! Povera gente! brucerete Giove? brucerete Saturno?”

His fretus, vale a dire su questi bei fondamenti, non prese nessuna precauzione contro la peste; gli s’attaccò; andò a letto, a morire, come un eroe di Metastasio, prendendosela con le stelle.

 

 


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