Carissime donne, tutto quello che ho appreso finora, mi ha portato a credere che l’invidia potesse abbattersi solo su coloro che sono più in vista. Ma questa mia valutazione si è dimostrata ingannevole. Per sfuggire questo sentimento rabbioso, ho sempre evitato di attirare l’attenzione, così come appare evidente a chi legge le mie novellette, le quali, non solo sono scritte in prosa e in volgare fiorentino, ma anche con uno stile umile e dimesso. Tuttavia ciò non mi ha impedito di diventare bersaglio dei morsi dell’invidia, per cui sembra proprio esser vero quello che i saggi dicono: solo la miseria non suscita invidia.

Dunque, mie giudiziose donne, alcune persone, dopo aver letto queste novellette, hanno detto che voi mi piacete troppo e che non è molto onesto da parte mia compiacervi e consolarvi. Alcuni hanno detto di peggio: che lo faccio per lusingarvi. Altri, per dimostrare di trattare la questione con maggiore saggezza, hanno detto che parlare di donne e compiacerle non è un comportamento appropriato per la mia età. E molti, preoccupati per la mia reputazione, hanno detto che farei meglio a dedicarmi alla poesia, piuttosto che impegnarmi con simili pettegolezzi. E ci sono altri che, ancora più dispettosamente, dicono che dovrei pensare a come guadagnarmi il pane, invece di andare dietro a stupidaggini.  E certi altri si danno la pena di dimostrare, a danno del mio impegno, che i fatti non li racconto per come sono realmente avvenuti.

Siccome vengo attaccato continuamente e nonostante la mia difesa spetti a voi, ho deciso di rispondere ai miei detrattori per mettere subito fine alle loro invettive, e lo farò in maniera garbata e non come meriterebbero. Lo farò subito, poiché, sebbene io non sia arrivato neanche a un terzo della mia opera, loro sono già in molti e anche particolarmente supponenti, e temo che senza una replica, diventino molto più numerosi prima ancora che io finisca, al punto che potrebbero facilmente affossarmi con ogni loro piccolo sforzo, né le vostre forze, per quanto grandi, potrebbero resistere. Ma prima di rispondere, vorrei raccontare non una novella, ma solo parte di questa, in modo che la sua stessa incompiutezza dimostri che non fa parte delle novelle narrate dalla lodevole brigata.

 

 

Ai miei detrattori dico che tempo fa, nella nostra città, viveva un cittadino di nome Filippo Balducci, di umili origini, ma ricco, ben avviato e sufficientemente esperto. Aveva una moglie che amava tantissimo, e da lei era ricambiato, e trascorrevano una vita tranquilla, evitando che nulla potesse essere più importante del piacersi l’un l’altro. Avvenne, come prima o poi succede a tutti, che la donna morì, e lasciò a Filippo un figlioletto di due anni.

Filippo rimase sconsolato per la morte della moglie, più di chiunque avesse mai perduto una donna amata e decise di allontanarsi dal mondo per servire Dio, e la stessa cosa volle per il suo figlioletto. Diede ogni suo bene in carità e se ne andò sopra il Monte Asinaio, si mise in una piccola grotta con il suo figliolo, e lì viveva di elemosine, digiuni e orazioni. Faceva molta attenzione a non parlare mai con suo figlio di alcuna cosa mondana, né di fargliene vedere alcuna, per non distrarlo, e gli insegnava solo le preghiere e gli parlava della gloria della vita eterna, di Dio e dei santi.

Per molti anni lo tenne nella grotta senza mai farlo allontanare e senza mai lasciargli vedere niente. Ogni tanto il brav’uomo si recava a Firenze, dove si incontrava con alcuni uomini caritatevoli che l’aiutavano, per poi ritornare nella sua grotta. Quando il figlio era diventato un ragazzo di diciotto anni e Filippo un vecchio, gli chiese dove andava e il padre gli rispose che andava in città. Il ragazzo disse: – Padre mio, voi ormai siete vecchio e potreste mal tollerare la fatica. Perché non mi portate con voi a Firenze, in modo che, facendomi conoscere i vostri amici, io che sono giovane e sopporto meglio la fatica, potrò andare a Firenze quando a voi farà piacere, e voi potrete rimanere qui? –

L’uomo, considerando che ormai suo figlio era grande, abituato a servire Dio e che difficilmente le cose mondane avrebbero potuto attrarlo, decise di portarlo con sé. Quando il figlio vide i palazzi, le case, le chiese e tutte quelle cose che non ricordava di aver mai visto in vita sua, provò una grande meraviglia, e chiedeva continuamente a suo padre cosa fossero e come si chiamassero. Suo padre rispondeva e lui, contento, continuava a chiedere. Per caso incrociarono una brigata di giovani donne, belle ed eleganti, che ritornavano da un ricevimento di nozze. Quando il giovane le vide, domandò al padre cosa fossero. Il padre rispose: – Figlio mio, abbassa gli occhi e non guardarle, perché sono una cosa cattiva. – E allora il figliolo disse: – E come si chiamano? – Il padre, per evitare di suscitare nel giovane qualunque desiderio carnale, non disse il vero nome, cioè «femmine», ma disse che si chiamavano «papere».

Che nome meraviglioso! Il figlio che non ne aveva mai vista una, e da quel momento non si interessò più dei palazzi, del bue, del cavallo, dell’asino, del denaro o di qualunque altra cosa avesse visto, e prontamente disse: – Padre mio, vi prego di riuscire a farmi avere una di quelle papere. – Oimè, figlio mio, – disse il padre – taci. Sono cose cattive. – Al che il giovane domandò: – E sono fatte così le cose cattive? –Sì – rispose il padre.

E allora il giovane aggiunse: – Non so perché diciate questo, né perché siano cose cattive, ma finora non ho mai visto nessuna cosa così bella e piacevole. Sono più belle degli angeli che mi avete mostrato. Se ci tenete a me, portiamo con noi una di queste papere, e io mi occuperò di imbeccarla. – Il padre rispose: – Meglio di no! Tu non sai neanche da che parte vanno imbeccate! – E capì subito che la natura era più forte del suo ingegno, e si pentì di aver portato suo figlio a Firenze.

 

 

Quanto ho raccontato finora è sufficiente e mi rivolgo a coloro a cui l’ho raccontato. Alcuni dei miei detrattori dicono che io faccio male, o giovani donne, a darmi da fare per piacere a voi, e che voi mi piacete troppo. E questo lo confesso apertamente, cioè che voi mi piacete e che io mi adopero per piacere a voi, e mi chiedo se questo provoca in loro stupore.

Mettiamo da parte chi ha conosciuto gli amorosi baci, i piacevoli abbracci e i congiungimenti dilettevoli con voi, mie dolcissime donne. Ma il solo fatto di aver visto i fini costumi, la sfuggente bellezza, l’elegante leggiadria e oltre a ciò la vostra femminile gentilezza, ha portato un ragazzo nutrito, allevato, cresciuto sopra un monte selvaggio e solitario, con la sola compagnia del padre, a desiderare solo voi con passione.

Se fin dalla mia giovinezza vi ho dato il mio corpo, creato dal cielo atto ad amarvi, e la mia anima, sentendo la potenza della luce dei vostri occhi, la soavità di parole dolci come miele, e la passione accesa da affettuosi sospiri, se voi mi piacete e io mi ingegno per piacervi, e soprattutto considerando che siete piaciute a un giovane eremita, un ragazzo incapace di provare sentimenti, anzi un animale selvatico, i miei detrattori continueranno comunque a rimproverarmi, mordermi, lacerarmi?

Sicuramente può rimproverarmi in questo modo solo chi non vi ama, né vuole essere amato, e non sente e non conosce i piaceri e la virtù della naturale passione, e di costoro non me ne curo. E quelli che hanno da ridire sulla mia età non sanno che anche gli uomini con il capo bianco hanno ancora i sentimenti verdi, e rispondo che mai potrò provare vergogna nel compiacere le donne, cosa per la quale si ritennero onorati Guido Cavalcanti e Dante Alighieri, già da vecchi, e messer Cino da Pistoia, quando era vecchissimo.

E se non fosse che mi allontanerei troppo dall’argomento, potrei portare molti esempi di antichi uomini valorosi, che, in piena maturità, si sono adoperati per compiacere le donne. Quanto al fatto che io debba preferire la compagnia delle Muse a quella delle donne, dico che è buon consiglio, ma non è sempre possibile vivere in una dimensione di sola poesia. E quando gli uomini si allontanano dalle Muse per cercare qualcosa che somigli loro, non è una cosa da biasimare: le Muse sono donne e anche se le donne non valgono quanto le Muse, comunque sono molto somiglianti, e già solo per questo mi dovrebbero piacere.  Forse proprio per questa somiglianza le Muse mi sono state accanto e mi hanno aiutato a scrivere queste novelle, quantunque siano umilissime. Perciò, scrivendo la mia opera, io non mi allontano né dal monte Parnaso, né dalle Muse.

E che dire a coloro che sono così preoccupati della mia fama e mi consigliano di guadagnarmi il pane? Se dovessi chiedere loro del pane, probabilmente mi risponderebbero: –Vai a cercarlo tra le favole. – Posso dire che molti sono vissuti fino a tarda età andando dietro alle favole, quando molti altri sono morti giovani, nel tentativo di guadagnarsi più pane del necessario. Che altro? Mi caccino pure casomai dovessi domandar loro del pane. Non che io ne abbia bisogno, grazie a Dio, ma qualora dovessi cadere in miseria, come dice l’Apostolo san Paolo, so vivere nell’abbondanza e sopportare la miseria, e su come guadagnarmi il pane a nessuno importa più che a me stesso.

 

 

Per quanto riguarda quelli che mi accusano di alterare i fatti raccontati, li invito a portarmi gli scritti originali, e se dovessero essere discordanti, farò ammenda e cercherò di riparare ai miei errori; nel caso contrario continuerò ad ignorarli.

Ritengo di aver risposto abbastanza e con l’aiuto di Dio e del vostro, gentilissime donne, giro le spalle al vento della calunnia e vado avanti. Lo lascio soffiare, perché non vedo cosa mi possa succedere, se non quello che avviene per la polvere che a volte, se il vento spira a turbine, non si muove dal terreno, altre volte il vento la smuove e la porta in alto, sopra le teste degli uomini, sopra le corone dei re e degli imperatori, e a volte la lascia sopra gli alti palazzi e le torre elevate, e in ogni caso non può cadere più in basso del luogo da cui è stata portata via.

Se già prima ero intenzionato a compiacere le donne, dopo le calunnie lo sarò ancora di più, perché amare le donne è una legge della natura, e contrapporsi ad essa è invano e faticoso. Perciò tacciano i calunniatori e, se non sono capaci di riscaldarsi, muoiano assiderati e mi lascino vivere tranquillo.

Ma è arrivato il momento, dopo questa lunga divagazione, di ritornare al punto da cui siamo partiti e riprendere l’ordine della narrazione già cominciato.

Il sole aveva cacciato via le stelle e l’ombra umida della notte, quando Filostrato fece andare tutta la brigata in giardino, poi pranzarono, si riposarono ed, infine ,si posero tutti a sedere vicino alla bella fontana, e comandò a Fiammetta di iniziare la sua novella.

 

Leggi anche il riassunto della novella delle papere

 

 


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