Questo racconto di Italo Calvino fa parte di una raccolta pubblicata nel 1963 con il titolo «Marcovaldo ovvero le stagioni della città».

 

A casa di Marcovaldo è finita la legna da ardere, e la famiglia, tutta incappottata, guarda le braci sempre più pallide. Non dicono più niente, e dalle loro bocche escono solo nuvolette.

A un certo punto Marcovaldo prende una sega dentata e decide di andare a cercare della legna. Si infila alcuni giornali fra giacca e camicia per ripararsi dal freddo ed esce nella notte, mandando fruscii cartacei ad ogni passo e con la sega che ogni tanto gli spunta dal bavero.

Nel frattempo il figlio Michelino legge un libro di fiabe preso in prestito. Parla del bambino di un taglialegna che esce con l’accetta per far legna nel bosco. «Ecco dove bisogna andare,» dice Michelino «nel bosco! Lì si trova la legna!» Si mette d’accordo con i fratelli, uno prende l’accetta, uno un gancio e uno una corda. Salutano la mamma e partono a cercare legna.

I bambini sono nati e cresciuti in città e non hanno mai visto un bosco in vita loro, neanche da lontano. Camminano per la città finché arrivano all’autostrada dove vedono finalmente il bosco: ai due lati dell’autostrada c’è una folta vegetazione di strani alberi, con tronchi fini, a volte dritti e a volte obliqui, con chiome piatte ed estese, dai colori più strani. Rami a forma di dentifricio, di faccia, di formaggio, di rasoio, di mucca, circondati da un fogliame di lettere dell’alfabeto. I bambini, contenti di aver trovato il bosco, abbattono subito un albero a forma di fiore e lo portano a casa.

Quando Marcovaldo rientra con il suo magro raccolto di rametti umidi, vede la stufa accesa. Chiede dove abbiano preso tutta quella legna, e i bambini gli indicano il bosco sull’autostrada. Così Marcovaldo esce di nuovo con la sua sega dentata e si avvia verso l’autostrada.

Intanto viene denunciato il fatto che sull’autostrada un branco di monelli sta buttando giù i cartelloni pubblicitari. Così l’agente di polizia stradale Astolfo parte con la sua moto per un giro d’ispezione. L’agente è po’ a corto di vista, ma non vuole farlo sapere perché teme per la sua carriera, perciò non mette mai gli occhiali.

D’un tratto, al lume del fanale della moto, sorprende un monellaccio arrampicato su un cartello. Astolfo frena e urla al ragazzo di scendere immediatamente. Quello non si muove e gli fa le linguacce. Astolfo si avvicina e vede che è la pubblicità di un formaggino, con un bamboccione che si lecca le labbra.

Astolfo riparte e dopo un po’ illumina una faccia triste e spaventata. «Alto là! Non cercate di scappare!» intima l’agente. Ma nessuno scappa. È la pubblicità di un callifugo con un viso dolorante in mezzo a un piede tutto calli.

Ancora più avanti il fanale illumina la pubblicità di una compressa per l’emicrania: una gigantesca testa d’uomo si tiene le mani sugli occhi per il dolore. Vicino all’orecchio c’è Marcovaldo che, appena viene illuminato dal fanale, si fa piccolo piccolo e resta immobile, aggrappato con la sega che è già arrivata a metà della fronte.

Astolfo guarda attentamente il cartellone e poi dice: «Bella pubblicità! L’omino con la sega rappresenta l’emicrania che taglia in due la testa. L’ho capito subito.» E riparte soddisfatto.

Marcovaldo tira un sospiro di sollievo e riprende il suo lavoro.

Nel cielo illuminato dalla luna si sente solo il gracchiare della sega contro il legno.

 

 

 

 


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