Il libro si apre con la descrizione dei luoghi in cui si svolge la vicenda: la parte meridionale del lago di como in prossimità di Lecco. La sera del 7 novembre dell’anno 1628, il curato don Abbondio rientra da una passeggiata, quando svoltando per una stradina vede in prossimità di un tabernacolo due uomini fermi vicino a un muretto che sembrano aspettare qualcuno.
Entrambi hanno in testa una reticella verde che cade fin sul braccio sinistro, due lunghi baffi arricciati, armati di pistole, spadone e coltellacci, abbigliamento che non lascia dubbi sul fatto che si tratti di due bravi.
I bravi sono del soldati di ventura, pagati per i servizi che offrono ai signori e ai mercanti che li ingaggiano, compiendo per loro ogni genere di crimine ai danni altrui. A causa della loro malfamata reputazione, diversi governatori hanno emesso dei bandi che prevedono pene serverissime per chiunque venga accusato di appartenere a tale categoria: anche in assenza di prove concrete relative a veri e propri crimini, il solo fatto di essere indicato come bravo da due testimoni prevede la detenzione in galera per diversi anni.
Quando i due uomini vedono don Abbondio arrivare, gli vanno incontro, e il povero curato, con gran dispiacere, si rende conto che stanno aspettando proprio lui. Con tono minaccioso gli intimano di non celebrare il matrimonio fra Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, previsto per il giorno dopo, per ordine del signor don Rodrigo. A nulla valgono i tentativi di don Abbondio di ricondurre alla ragione i due manigoldi, che vanno via dopo avergli ordinato di non dire niente a nessuno su questa faccenda.
Il curato rimane per qualche momento incantato e poi riprende la sua strada con passo incerto, con le gambe intirizzite dallo spavento. Don Abbondio non è certo un uomo coraggioso, e fin da bambino ha compreso che la sua condizione è quella di un debole, come un animale senza zanne e senza artigli. Non può certo opporsi agli ordini di un signore potente come don Rodrigo e non gli resta altra scelta che rifiutarsi di celebrare il matrimonio. Ma non sa ancora quale storia dovrà inventarsi con Renzo, che è buono e mite solo finché non perde la pazienza.
Turbato da questi pensieri arriva a casa e va subito verso il salotto, dove si aspetta di trovare la tavola apparecchiata per la cena. Perpetua, la sua domestica, donna celibe che ha superato la quarantina, vede il volto stralunato di don Abbondio e preoccupata cerca di sapere cosa sia successo. Il curato dapprima è reticente ma poi, avendo una gran voglia di togliersi quel macigno di dosso, racconta tutto alla sua fedele domestica. Questa gli consiglia di scrivere una lettera all’arcivescovo per informarlo dei fatti. Ma don Abbondio sa che l’arcivescovo di non può proteggerlo da una schioppettata, per cui prende il suo lume e dopo aver nuovamente raccomandato alla domestica di tacere, sparisce dietro la porta.