Questo racconto di Italo Calvino fa parte di una raccolta pubblicata nel 1963 con il titolo Marcovaldo ovvero le stagioni della città.
Riassunto
Ogni giorno Marcovaldo, quando si reca al lavoro, passa nel giardino alberato di una piazza e immagina di poter dormire all’aperto, sull’unica panchina presente, per poi risvegliarsi una volta tanto con il cinguettio degli uccelli, invece che con le strilla del neonato Paolino.
Così una notte si alza silenziosamente, prende il suo cuscino e si avvia verso la piazza. Quando arriva vede che la panchina è occupata da due fidanzati che discutono. Per un po’ di tempo gironzola nel parco finché vede la panchina liberarsi.
Corre subito alla panchina e si sdraia, sprofondando il suo viso nel guanciale. Ma il suo sguardo cade su un semaforo lampeggiante che gli impedisce di prendere sonno. Infastidito dalla luce intermittente, decide di mettere uno schermo tra sé e il semaforo. Poco più avanti c’è la statua di un generale con la spada sollevata e ai piedi del monumento una corona d’alloro ormai rinsecchita. Marcovaldo, per coprire la visione del fastidioso semaforo. prende la corona, si arrampica sul monumento e appende l’alloro alla sciabola del generale.
Proprio in quel momento arriva in bicicletta il vigile notturno per un giro di ispezione, e Marcovaldo si apposta dietro la statua. Il vigile ha visto qualche strano movimento e si ferma sospettoso vicino alla statua. Vede la corona appesa alla sciabola, intuisce che c’è qualcosa che non quadra, ma non sa bene cosa. Punta la sua luce sulla corona e legge: «I Lancieri del Quindicesimo nell’Anniversario della Gloria». Scuote la testa in segno di approvazione e se ne va.
Marcovaldo, prima di ritornare alla panchina, per essere sicuro che il vigile si allontani, fa un giro della piazza. Vede una squadra di operai che stanno lavorando alle rotaie del tram e armeggiano con una fiamma ossidrica. Scambia con loro qualche parola, mentre fuma una sigaretta. Poi ritorna alla panchina e finalmente può rilassarsi, adesso che l’odioso semaforo è nascosto alla vista.
Però prima non aveva fatto caso al ronzio del saldatore usato dagli operai. Ma adesso quel rumore gli appare insopportabile e non riesce a prender sonno. Per dormire ha bisogno di un qualcosa che non sa bene neanche lui. Non il silenzio, ma un rumore morbido, come un lieve vento che passa nel sottobosco o il mormorio dell’acqua che si perde nei prati.
Nelle vicinanze c’è una fontana, che però d’estate viene chiusa a causa della minore disponibilità d’acqua. Marcovaldo sa che ogni vasca ha un rubinetto e gira intorno alla fontana finché lo trova e lo apre. Poi si ributta subito sulla panchina per non lasciarsi sfuggire il filo di sonno che gli sembra di aver acchiappato.
Si addormenta e comincia a sognare di essere a tavola, con davanti un piatto coperto. Quando lo scopre, trova un topo morto puzzolente. Guarda nel piatto della moglie e vede un altro topo morto. I figli hanno nel piatto dei topini più piccoli, ma anche questi mezzi putrefatti. Scoperchia la zuppiera e vede un gatto con la pancia all’aria, talmente puzzolente da svegliarlo. Nelle vicinanze c’è un camion che di notte raccoglie i rifiuti.
Al vigile notturno per poco non viene un colpo quando vede un’ombra umana che corre carponi in un’aiuola e strappa rabbiosamente dei fiori per poi sparire. Alla fine pensa di aver visto un cane, o forse si è trattato di un’allucinazione, o di un lupo mannaro, in ogni caso niente di sua competenza.
Intanto Marcovaldo è ritornato sulla panchina e si preme sul naso il mazzo di fiori per scacciare la puzza dell’immondizia, e riesce finalmente a dormire. Viene svegliato bruscamente dallo spruzzo di un idrante con il quale il giardiniere comunale innaffia le aiuole, quando il sole è già luminoso e tutto intorno c’è un andirivieni di gente e mezzi di trasporto.
Con la bocca e gli occhi impastati Marcovaldo corre al lavoro.