L’oste denuncia Renzo
L’oste invita Renzo a recarsi nella camera da letto e lo accompagna sorreggendolo. Approfittando della sbornia, prova ancora una volta a chiedergli il nome, così come prescritto dalle grida, ma vedendo il giovane adirarsi, per evitare di attirare l’attenzione, lo calma dicendo di aver scherzato. Poi lo aiuta a spogliarsi e gli chiede di saldare il conto, e alla fine gli rimbocca le coperte e lo lascia che sta già russando. Esce dalla stanza e chiude la porta a chiave. Poi dice alla moglie di badare all’osteria, poiché deve sbrigare una faccenda urgente. Indossa il mantello ed esce in strada, diretto verso il palazzo di giustizia.
Lungo il percorso ripensa al giovane e ingenuo montanaro, che rischia di mettersi in guai molto seri con il suo comportamento da rivoltoso. Se gli ha chiesto il nome, non è certo per curiosità, ma perché imposto dalla legge, e in caso di inadempienza, lo stesso oste rischia un’ammenda di trecento scudi. Anche a lui non piacciono le grida, ma non è così stupido da manifestarlo apertamente.
Alla fine riaggiunge il palazzo di giustizia. Nel frattempo il poliziotto incontrato da Renzo ha già riferito tutto al palazzo di giustizia, e l’oste rimane molto stupito quando, nel rendere la sua testimonianza di fronte al notaio, si accorge che quest’ultimo conosce molto bene Renzo e molti dettagli di quanto avvenuto. L’oste riferisce che il giovane sta dormendo e il notaio gli ordina di non lasciarlo fuggire, e dopo alcune raccomandazioni, lo lascia tornare alla sua taverna.
Renzo viene arrestato dal notaio e dagli sbirri.
Il mattino dopo Renzo viene bruscamente risvegliato dal notaio e due sbirri armati. Ancora confuso dai postumi della sbornia, tenta di chiedere spiegazioni e chiama in aiuto l’oste, ma il notaio gli ordina di alzarsi e vestirsi per essere condotto al palazzo di giustizia. Tuttavia il magistrato mantiene un atteggiamento piuttosto benevolo nei confronti di Renzo, assicurandogli che si tratta solo di formalità imposte dalla legge, e che una volta sbrigate, sarà subito rilasciato. In realtà il notaio ha notato per le strade dei raduni sospetti, che gli fanno presagire nuovi tumulti, quindi vuole convincere Renzo a seguirlo senza opporre resistenza, per evitare di attirare l’attenzione di popolani che potrebbero opporsi con la forza al suo arresto.
Una volta vestito, Renzo si accorge che nel suo farsetto mancano il danaro e la lettera di padre Cristoforo. Si arrabbia, accusa il notaio e gli sbirri di essere dei ladri, e pretende la restituzione immediata. Il notaio, per evitare guai, fa cenno agli sbirri di restare fermi e restituisce ogni cosa, ma promette a sé stesso di punire il giovane per la sua insolenza, non appena lo avrà in pugno.
I quattro uomini escono dalla stanza e quando arrivano vicino alla cucina, il notaio fa un cenno agli sbirri, i quali molto velocemente afferrano le braccia del giovane e avvolgono ai suoi polsi degli strumenti chiamati “manichini”. Si tratta di cordicelle con dei nodi, che terminano con due stanghette. In questo modo girando la stanghetta, la cordicella stringe più fortemente il polso, fino a provocare un dolore insopportabile. Renzo prova a divincolarsi e a protestare, ma il notaio lo invita ad essere paziente, mentre gli sbirri danno una girata ai legnetti, costringendolo a calmarsi.
Renzo riesce a fuggire
Il notaio invita il giovane, una volta usciti in strada, a non guardarsi intorno per non dare l’impressione di essere stato arrestato, e dice ai gendarmi di trattarlo bene dal momento che è un galantuomo che sarà presto liberato. Renzo non crede a una sola parola del notaio, e intuisce che ha solo paura dei popolani, e si ripromette di fare l’esatto contrario.
A questo punto del racconto l’autore fa alcune considerazioni ironiche sugli uomini che fanno i furbi di professione, che sono in grado di usare la loro astuzia solo in circostanze normali, ma quando sono pressati dalla fretta e dalla paura, si comportano in modo così maldestro, che perfino le persone più ingenue si accorgono dei loro piani.
Una volta usciti per strada Renzo comincia a guardarsi intorno, finché vede arrivare tre popolani che parlano di forni, di farina nascosta e di giustizia. Il notaio insiste con le sue raccomandazioni, ma Renzo fa il possibile per attirare la loro attenzione. Gli sbirri danno una stretta ai manichini e Renzo comincia a gridare dal dolore, e poi urla di essere stato arrestato ingiustamente perché il giorno prima ha gridato “pane e giustizia”. In poco tempo si raccoglie una folla minacciosa e nel tafferuglio che ne segue, il notaio e gli sbirri lasciano perdere Renzo, e pensano solo a squagliarsela.