Don Abbondio, Perpetua e Agnese lasciano il paese

La voce dell'imminente arrivo dei Lanzichenecchi e delle loro violenze si sparge molto rapidamente e porta un grande scompiglio fra la popolazione. Don Abbondio è terrorizzato, vorrebbe fuggire ma non sa dove andare[1]. In paese non ci sono carri e a piedi non andrebbe lontano. Le barche sono poche e con il lago in tempesta rischierebbe di affogare. Non è consigliabile neanche andare sulle montagne, perché queste vengono comunque rastrellate dai soldati in cerca di bottino.

Perpetua, molto indaffarata con i suoi preparativi, gli dice di prendere il denaro per poterlo sotterrare con l’argenteria nell’orto, mentre lei prepara una gerla con delle provviste e della biancheria. In quel momento entra Agnese che propone una soluzione per mettersi al sicuro. Dice che a suo tempo l’Innominato aveva promesso aiuto in caso di bisogno, e il suo castello è un ottimo rifugio dalle scorribande dei Lanzichenecchi. Ha bisogno di don Abbondio per aiutarla a farsi riconoscere dal potente ex-tiranno, e quindi propone di partire tutti e tre insieme alla volta del suo castello. Perpetua è entusiasta e convince anche don Abbondio, che  all’inizio esita con i suoi soliti dubbi.

I tre si mettono in cammino tagliando attraverso i campi e durante il tragitto ognuno pensa alle sue disgrazie. Don Abbondio impreca tra sé contro i potenti che invece di badare al popolo, pensano a fare guerre. Perpetua ricorda che ha dimenticato di nascondere molte cose e rimbrotta al curato di non averla aiutata per niente in un momento così difficile. Agnese è molto rammaricata dal fatto che l’arrivo dei soldati ha mandato all’aria il suo progetto di incontrare Lucia.

 

A casa del sarto

Intanto arrivano al paese vicino al castello dell’Innominato, e Agnese propone di andare a casa del sarto per salutare lui e la sua famiglia. Quando arrivano a casa dell’uomo, vengono accolti molto cordialmente da lui e dalla sua famiglia[2]. Don Abbondio rivela il loro intento di rifugiarsi nel castello, e il sarto approva la loro decisione. Lui si sente al sicuro in quanto ritiene che il paese sia troppo lontano dal percorso dei soldati. Il sarto invita tutti a pranzo e poco dopo si mettono a tavola con una certa serenità difficile da immaginare in quella situazione.

Durante il pranzo il curato e il sarto scambiano qualche chiacchiera. Don Abbondio viene rassicurato sulla reale conversione dell’Innominato, che ora conduce una vita da santo e benefattore, la maggior parte dei bravi sono andati via e i pochi rimasti hanno rinunciato alla violenza e conducono una vita tranquilla come il loro padrone. Dopo pranzo il sarto scambia anche qualche parola con Agnese sul cardinale Borromeo che hanno entrambi conosciuto. Don Abbondio ha fretta di partire e il sarto si preoccupa di procurare un calesse. Dopo essersi congedati dai loro ospiti con una serie di affettuosi saluti, i tre salgono sul calesse e si dirigono verso il castello.

 

La nuova vita dell’Innominato

Dopo la conversione l'Innominato ha iniziato una nuova vita. Non porta armi, e si è ripromesso di non compiere più alcuna violenza, neanche per difendersi o per punire delle prepotenze. L’uomo, un tempo odiato da molti, ora che è diventato pacifico e indifeso, non subisce alcuna ritorsione[3]. La sua conversione ha suscitato il rispetto di tutti, perfino dei suoi nemici giurati[4], e il popolo, che considera miracoloso il suo pentimento, ha nei suoi confronti una certa venerazione, per cui fargli del male apparirebbe come un sacrilegio. Perfino la giustizia ha rinunciato a qualunque azione nei suoi confronti, sia per le sue parentele e amicizie altolocate, sia perché è ben contenta di non doversi più preoccupare di quell’uomo che un tempo era così terribile.

Le persone che avevano stipulato con lui degli accordi criminosi, adesso sono stizzite dal fatto che i loro piani non possono essere portati a termine. Però queste persone, per quanto infastidite, non mostrano odio o disprezzo. La maggior parte dei bravi al suo servizio sono andati via, mentre quelli rimasti hanno rinunciato a compiere azioni scellerate, lavorano come servitori fedeli e vengono trattati dal popolo con rispetto e benevolenza.

La fortezza dell’Innominato, che un tempo era vista come simbolo di dominio e di terrore, ora è diventata un rifugio sicuro contro le scorrerie dei Lanzichenecchi. Molti cercano riparo al suo interno e l’Innominato lo concede volentieri, anzi fa spargere la voce che chiunque lo voglia è invitato a rifugiarsi. L’uomo raduna quei pochi bravi rimasti al suo servizio, e fornisce istruzioni su come organizzare la difesa. Fa distribuire tutte le armi da fuoco depositate in una soffitta ai volenterosi che vogliono partecipare. Inoltre fa allestire dei dormitori per dare alloggio ai rifugiati, e fa arrivare provviste per sfamarli, e ispeziona continuamente i vari posti di guardia, infondendo coraggio e suscitando l’ammirazione di tutti[5].

 

Alcuni estratti significativi del capitolo 29

 

[1] Chi non ha visto don Abbondio, il giorno che si sparsero tutte in una volta le notizie della calata dell’esercito, del suo avvicinarsi, e de’ suoi portamenti, non sa bene cosa sia impiccio e spavento. Vengono; son trenta, son quaranta, son cinquanta mila; son diavoli, sono ariani, sono anticristi; hanno saccheggiato Cortenuova; han dato fuoco a Primaluna: devastano Introbbio, Pasturo, Barsio; sono arrivati a Balabbio; domani son qui: tali eran le voci che passavan di bocca in bocca; e insieme un correre, un fermarsi a vicenda, un consultare tumultuoso, un’esitazione tra il fuggire e il restare, un radunarsi di donne, un metter le mani ne’ capelli.

[2] Furono ricevuti a braccia aperte, e veduti con gran piacere: rammentavano una buona azione. Fate del bene a quanti più potete, dice qui il nostro autore; e vi seguirà tanto più spesso d’incontrar de’ visi che vi mettano allegria.

[3] Così quell’uomo sul quale, se fosse caduto, sarebbero corsi a gara grandi e piccoli a calpestarlo; messosi volontariamente a terra, veniva risparmiato da tutti, e inchinato da molti.

[4] Tormentare un santo, non pareva un buon mezzo di cancellar la vergogna di non aver saputo fare stare a dovere un facinoroso...

[5] Lui intanto non istava mai fermo; dentro e fuori del castello, su e giù per la salita, in giro per la valle, a stabilire, a rinforzare, a visitar posti, a vedere, a farsi vedere, a mettere e a tenere in regola, con le parole, con gli occhi, con la presenza. In casa, per la strada, faceva accoglienza a quelli che arrivavano; e tutti, o lo avessero già visto, o lo vedessero per la prima volta, lo guardavano estatici, dimenticando un momento i guai e i timori che gli avevano spinti lassù; e si voltavano ancora a guardarlo, quando, staccatosi da loro, seguitava la sua strada.

 

 


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