Renzo arriva a Milano

Renzo arriva a Porta Nuova, dove vede dei monatti che stanno caricando in barella il capo gabelliere, e una guardia dall'aria stanca. Sa che per entrare in città ha bisogno del certificato sanitario, ma confida sulla scarsa attenzione delle autorità. Quindi, quando la barella si allontana, prova ad attraversare il cancello. La guarda lo richiama, ma il giovane gli lancia una moneta e riesce a passare.

Cammina finché incontra un uomo al quale prova a chiedere molto gentilmente le indicazioni per la casa di don Ferrante, ma l'uomo non appena vede avvicinarsi Renzo, si spaventa e lo minaccia con un bastone appuntito, e gli urla di andare via immediatamente. Renzo, che ignora l'ossessione dei cittadini di Milano per gli untori, non riesce a capire il motivo di quella reazione, ma se ne va senza discutere. L'uomo invece si affretta a ritornare a casa e quando arriva racconta di aver incontrato un untore (riferito a Renzo) che aveva tentato di gettargli addosso un unguento. Per molti anni a venire racconterà questa storia, come prova inconfutabile dell'esistenza degli untori.

Renzo, mentre continua il suo percorso, si sente chiamare e vede una donna affacciata a un terrazzino con diversi bambini. La donna racconta che suo marito è morto di peste, e il Tribunale della Sanità gli ha fatto inchiodare l'uscio per non farli uscire. Però i commissari non sono più tornati indietro per liberarla, e adesso i suoi bambini rischiano di morire di fame. Renzo le dice di calare un cesto e mette dentro i due pani che ha in tasca. Chiede indicazioni per la casa di don Ferrante, ma la donna non sa dove si trovi.

Il giovane prosegue il suo cammino, e per la prima volta vede un apparitore e poi una fila di carri pieni di cadaveri ammonticchiati, e rimane profondamente scosso da quella visione.

 

Alla ricerca della casa di don Ferrante

Alla fine Renzo riesce per fortuna a incontrare un prete che gli fornisce tutte le indicazioni per raggiungere la casa di don Ferrante. Prima di andare via Renzo raccomanda al sacerdote la povera donna dimenticata in casa.

Diretto a casa di don Ferrante, per strada Renzo vede solo una terribile desolazione, qualche cadavere e quei pochi passanti hanno un aspetto terrificante.

La scena più triste è quella di una donna ancora giovane che va incontro a un carro funebre portando in braccio la sua bambina morta, ma acconciata in modo accurato, con un vestito bianchissimo. Adagia compostamente la bambina sul carro, dà dei soldi al monatto e si fa promettere di seppellire la sua bambina così com'è, senza denudarla. Poi chiede di ritornare verso sera a prendere lei e l'altra sua bambina, che sono in procinto di morire[1].

Il giovane continua a camminare e arrivato ad un incontro si imbatte in un altro spettacolo straziante. Degli ammalati vengono condotti da monatti al lazzaretto, contro la loro volontà. Alcuni urlano che vogliono morire a casa nel loro letto, altri camminano in uno stato confusionale, donne con bambini in braccio, e bambini da soli che invocano la madre.

Renzo riesce ad arrivare a casa di don Ferrante, e quando bussa alla porta, si affaccia una donna alla finestra. Renzo chiede di Lucia, e la donna, con un fare sgarbato e sbrigativo, gli dice che Lucia è al lazzaretto ammalata di peste.

 

Renzo accusato di essere un untore

Sconvolto da questa notizia, si trattiene ancora qualche momento sull'uscio di casa, quando vede alle sue spalle una donna che sta agitando le braccia, come per attirare l'attenzione dei passanti. Quando si accorge che il giovane la sta guardando, caccia un urlo e accusa Renzo di essere un untore. Alla casa di don Ferrante si affaccia di nuovo la donna di prima, e anche lei lo accusa di essere uno di quelli che va in giro a ungere le porte dei galantuomini.

Intanto si raccoglie un gruppo di persone dall'aria minaccioso che hanno tutta l'intenzione di aggredirlo. Renzo spaventato e furioso per quella situazione, brandisce il suo coltellaccio minacciando i suoi inseguitori. Questi si fermano all'improvviso, più che altro perché alle spalle di Renzo è comparso un carro con i cadaveri degli appestati. Renzo pensa per qualche istante, poi salta su un carro in mezzo ai cadaveri[2], fra le risate e gli schiamazzi dei monatti, che scherzando gli dicono che quel posto è più sicuro di una chiesa. Poi minacciano di gettare qualche cencio degli appestati per tenere a bada gli inseguitori.

Renzo timidamente li ringrazia e loro gli fanno i complimenti, pensando che fosse effettivamente un untore, e gli dicono che fa bene a spargere la peste.

Quando il carro arriva vicino al lazzaretto, Renzo spicca un salto e si dirige velocemente verso la destinazione. Appena giunge vede una distesa enorme brulicante di malati, uno scenario di dolore che rende il giovane sempre più afflitto, stanco di assistere a  tutto quello strazio.

 

Alcuni estratti significativi del capitolo 34

 

[1] Scendeva dalla soglia d’uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosa, che brilla nel sangue lombardo. La sua andatura era affaticata, ma non cascante; gli occhi non davan lacrime, ma portavan segno d’averne sparse tante; c’era in quel dolore un non so che di pacato e di profondo, che attestava un’anima tutta consapevole e presente a sentirlo. Ma non era il solo suo aspetto che, tra tante miserie, la indicasse così particolarmente alla pietà, e ravvivasse per lei quel sentimento ormai stracco e ammortito ne’ cuori. Portava essa in collo una bambina di forse nov’anni, morta; ma tutta ben accomodata, co’ capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l’avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio. Nè la teneva a giacere, ma sorretta, a sedere sur un braccio, col petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non che una manina bianca a guisa di cera spenzolava da una parte, con una certa inanimata gravezza, e il capo posava sull’omero della madre, con un abbandono più forte del sonno: della madre, chè, se anche la somiglianza de’ volti non n’avesse fatto fede, l’avrebbe detto chiaramente quello de’ due ch’esprimeva ancora un sentimento.

Un turpe monatto andò per levarle la bambina dalle braccia, con una specie però d’insolito rispetto, con un’esitazione involontaria. Ma quella, tirandosi indietro, senza però mostrare sdegno né disprezzo, “no!” disse: “non me la toccate per ora; devo metterla io su quel carro: prendete.” Così dicendo, aprì una mano, fece vedere una borsa, e la lasciò cadere in quella che il monatto le tese. Poi continuò: “promettetemi di non levarle un filo d’intorno, né di lasciar che altri ardisca di farlo, e di metterla sotto terra così.”

Il monatto si mise una mano al petto; e poi, tutto premuroso, e quasi ossequioso, più per il nuovo sentimento da cui era come soggiogato, che per l’inaspettata ricompensa, s’affaccendò a far un po’ di posto sul carro per la morticina. La madre, dato a questa un bacio in fronte, la mise lì come sur un letto, ce l’accomodò, le stese sopra un panno bianco, e disse l’ultime parole: “addio, Cecilia! riposa in pace! Stasera verremo anche noi, per restar sempre insieme. Prega intanto per noi; ch’io pregherò per te e per gli altri.” Poi voltatasi di nuovo al monatto, “voi,” disse, “passando di qui verso sera, salirete a prendere anche me, e non me sola.”

Così detto, rientrò in casa, e, un momento dopo, s’affacciò alla finestra, tenendo in collo un’altra bambina più piccola, viva, ma coi segni della morte in volto. Stette a contemplare quelle così indegne esequie della prima, finché il carro non si mosse, finché lo poté vedere; poi disparve. E che altro poté fare, se non posar sul letto l’unica che le rimaneva, e mettersele accanto per morire insieme? come il fiore già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora in boccia, al passar della falce che pareggia tutte l’erbe del prato.

 

[2] Vistosi così tra due fuochi, gli venne in mente che ciò che era di terrore a coloro, poteva essere a lui di salvezza; pensò che non era tempo di far lo schizzinoso; rimise il coltellaccio nel fodero, si tirò da una parte, prese la rincorsa verso i carri, passò il primo, e adocchiò nel secondo un buono spazio voto. Prende la mira, spicca un salto; è su, piantato sul piede destro, col sinistro in aria, e con le braccia alzate…

 

 


ARTICOLI CORRELATI: