Renzo nel lazzaretto

Renzo, quando entra nel lazzaretto, si trova di fronte a uno spettacolo che lo lascia sconvolto.  Più di sedicimila appestati concentrati in quel posto, alcun all’interno di baracche poste al centro, altri sotto i portici laterali distesi sulla paglia. Dappertutto c’è un andirivieni frenetico, medici e religiosi che corrono per assistere gli infermi, gente delirante che si agita[1]. Renzo comincia a cercare sbirciando fra le capanne nella speranza di vedere la sua amata Lucia.

Dopo aver a lungo girovagato senza risultati, Renzo si accorge di aver visto quasi solo uomini, e comincia a sospettare che le donne siano state raccolte in un luogo separato. A un certo punto viene attirato da vagiti e belati provenienti da una zona recintata. Il giovane si avvicina e attraverso una fessura guarda all’interno. Vede numerosi bambini piccoli che vengono allattati dalle balie, e cosa quasi incredibile, dalle capre che sembrano accorrere ai vagiti dei piccoli, porgendo loro le mammelle. Vede anche arrivare un cappuccino con in braccio due bambini piccoli, e subito una donna corre a prenderli e poi sembra cercare con lo sguardo a chi affidarli.

 

L’incontro con padre Cristoforo

Ad un tratto il giovane vede nella folla la figura di un frate cappuccino che gli ricorda padre Cristoforo. Comincia a correre in modo frenetico finché riesce a ritrovarlo di fronte all’uscio di una capanna, dove si è seduto con in mano una scodella ed ha iniziato a mangiare dopo averla benedetta. I due si riconoscono e si scambiano affettuosi saluti. Il frate non è più quello di un tempo, appare curvo e affaticato, con il viso pallido e smunto e la voce fioca. Era stato trasferito a Rimini ed è rimasto lì fino a quando è scoppiata la peste. Ha chiesto quindi di venire a Milano per accudire i malati, e la sua richiesta è stata accolta anche perché nel frattempo il conte zio è morto a causa del morbo.

Renzo racconta invece tutte le sue vicissitudini, il suo coinvolgimento nei tumulti di Milano, la sua fuga nel bergamasco. Poi racconta di Lucia, del rapimento da parte dell’Innominato, la sua liberazione e la sua sistemazione presso donna Prassede.

Il cappuccino intanto dice a Renzo di recarsi in una zona dove da lì a poco saranno radunati tutti i guariti, per vedere se la fortuna vuole che ci sia anche Lucia. Se non dovesse trovarla, dovrà recarsi in un posto dove si trovano tutte le donne, e gli indica come arrivarci. Gli dice anche di prepararsi ad ogni evenienza, perché guarire dalla peste è una cosa molto difficile.

In quel momento Renzo cambia atteggiamento, si incupisce e dice che se non dovesse trovare viva Lucia, andrà a cercare qualcun altro nel suo palazzotto, lasciando intende propositi vendicativi. Padre Cristoforo rimprovera duramente il giovane per la sua sete di vendetta, e gli volta le spalle dicendo che ci sono malati da assistere e non ha certo tempo da perdere con lui.

 

Don Rodrigo in fin di vita

Renzo rimane sorpreso dalla reazione inaspettata del frate, e per scusarsi delle sue parole dice di essere pronto a perdonare don Rodrigo. Il frate è poco convinto di questa ultima affermazione, e lo invita, con un tono più bonario, a scacciare dal suo animo ogni desiderio di vendetta[2], e gli chiede cosa farebbe se adesso avesse di fronte il signorotto. Il giovane risponde che pregherebbe Dio per toccare il cuore del nobile. A quel punto il frate afferra la mano del giovane e lo porta con sé fino all’uscio di una capanna poco distante. Renzo entra e vede diversi malati distesi e fra questi ne vede uno disteso su un materasso, ricoperto con una cappa signorile,  e si accorge che si tratta di don Rodrigo. Il malato ha gli occhi vitrei, le labbra nere e gonfie, il viso di un cadavere. Respira con affanno e la sua mano destra, con le dita nere, è premuta sul petto a livello del cuore[3].

Padre Cristoforo dice che il nobile è arrivato quattro giorni prima e non ha mai ripreso conoscenza. Forse Dio vuole che Renzo preghi per la salvezza della sua anima, e invita il giovane a compiere un gesto di misericordia.

Così il frate tace e inizia a pregare, e la stessa cosa fa anche Renzo.

Dopo qualche momento si sentono i rintocchi di una campana, che annuncia il raduno dei guariti, e il frate invita Renzo ad andare ed essere pronto ad ogni evenienza. I due si separano e Renzo si dirige verso la cappella non molto lontano.

 

Alcuni estratti significativi del capitolo 35

 

[1] S’immagini il lettore il recinto del lazzeretto, popolato di sedici mila appestati; quello spazio tutt’ingombro, dove di capanne e di baracche, dove di carri, dove di gente; quelle due interminate fughe di portici, a destra e a sinistra, piene, gremite di languenti o di cadaveri confusi, sopra sacconi, o sulla paglia; e su tutto quel quasi immenso covile, un brulichìo, come un ondeggiamento; e qua e là, un andare e venire, un fermarsi, un correre, un chinarsi, un alzarsi, di convalescenti, di frenetici, di serventi. Tale fu lo spettacolo che riempì a un tratto la vista di Renzo, e lo tenne lì, sopraffatto e compreso.

 

[2] Tu sai, tu l’hai detto tante volte, ch’Egli può fermar la mano d’un prepotente; ma sappi che può anche fermar quella d’un vendicativo. E perchè sei povero, perchè sei offeso, credi tu ch’Egli non possa difendere contro di te un uomo che ha creato a sua immagine? Credi tu ch’Egli ti lascerebbe fare tutto quello che vuoi? No! ma sai tu cosa puoi fare? Puoi odiare, e perderti; puoi, con un tuo sentimento, allontanar da te ogni benedizione. Perchè, in qualunque maniera t’andassero le cose, qualunque fortuna tu avessi, tien per certo che tutto sarà gastigo, finchè tu non abbia perdonato in maniera da non poter mai più dire: io gli perdono.

 

[3] Stava l’infelice, immoto; spalancati gli occhi, ma senza sguardo; pallido il viso e sparso di macchie nere; nere ed enfiate le labbra: l’avreste detto il viso d’un cadavere, se una contrazione violenta non avesse reso testimonio d’una vita tenace. Il petto si sollevava di quando in quando, con un respiro affannoso; la destra, fuor della cappa, lo premeva vicino al cuore, con uno stringere adunco delle dita, livide tutte, e sulla punta nere.

 

 


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